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Cose mai pensate prima d'ora... lo spettro dell'autismo.

C'è una cosa che con il tempo ho capito di me stessa, ossia quella di non essere mai stata una persona "comune". "Comune" nel senso di quella categoria che riesce a fare le cose, a volte anche più banali, in modo spontaneo, per esempio socializzare, relazionarsi con gli altri, gestire emozioni, la propria vita, situazioni varie e così via... tutte cose che per gli altri non sono nulla di particolarmente complicato da affrontare, ma che per me, invece, sono spesso diventate un problema, a volte anche enorme, finendo per causare stati ansiotici. Ho sempre imputato le mie debolezze alla timidezza e forse a dei traumi psicologici subiti durante l'infanzia, ma dopo 35 anni scopro che forse c'è molto di più.


Giorni fa, infatti, mi sono casualmente imbattuta nel video di una ragazza spigliata e solare, una che a vederla a primo impatto sembra non avere assolutamente nulla di fuori posto. Nel video, invece, parla dell'autismo nelle ragazze, perché lei è effettivamente autistica, ma la sua condizione non è per nulla evidente dall'esterno, ossia appare come una persona normale agli occhi di chi le sta intorno. Mentre al suo ragazzo l'autismo è stato diagnosticato all'età di 2 anni, lei la sua diagnosi l'ha ricevuta a 15: il che è tutto dire. Una cosa che poi conta è sicuramente che c'è un'enorme differenza tra come una persona APPARE e come SI SENTE dentro. Noi, negli altri, possiamo solo vedere ciò che vogliono farci vedere. Non possiamo entrargli nella mente e scoprire cosa provano, cosa hanno passato e magari quali cose di sé tengono nascoste, volontariamente o senza rendersene conto. Quindi, dare per scontato che uno non sia assolutamente autistico o con dei disturbi perché ci sembra normale, per esempio parla, comprende e si comporta come chiunque altro, è sbagliato.

Ho cominciato ad avere qualche dubbio, memore di troppe cose "fuori posto", e ho provato a cercare qualche informazione a riguardo. Qui ho trovato una testimonianza, una donna che racconta di aver scoperto di soffrire di autismo dopo praticamente una vita. Perché? Semplice: perché l'autismo nelle donne è difficile da diagnosticare, tanto che molte la ricevono dopo anni e anni di sedute dallo psicologo e/o dallo psichiatra. Non sto ad elencare tutto, lascio qui il link a questa testimonianza per chi è interessato e mi limito a riportare molti dei punti in cui mi ritrovo, raccontando gli aneddoti del mio passato e cose che tutt'oggi continuano a riguardarmi.



1. "I casi come quello di Barbara (il nome è di fantasia) riguardano persone in cui i sintomi dell’autismo sono meno evidenti, ma non per questo una diagnosi di autismo “mancata” in giovane età è priva di conseguenze. Barbara ha deciso di raccontare la sua storia a TPI, nella speranza che possa essere utile anche ad altre donne che vivono la stessa situazione ma non ne sono ancora del tutto consapevoli.

La famiglia di Barbara non ha mai colto i segnali. Non per negligenza, ma per un fatto culturale.

“Il fatto che io non avessi amici, che non uscissi, comportava che loro mi vedessero come una persona chiusa, timida, strana”, racconta Barbara. “Ma non avevo alcun tipo di difficoltà scolastiche, e di fatto se un bambino va bene a scuola si è portati a pensare che non ci sia alcun tipo di problema. Avevo i miei sport, le mie cose. Giocavo e uscivo con mio fratello più grande. Quindi la mia famiglia non ha chiesto supporto a nessuno”


Già questa prima parte è praticamente la descrizione di me stessa dall'infanzia fino all'adolescenza, probabilmente in gran parte anche adesso. Da bambina avevo moltissimi problemi a stringere amicizia o, per meglio dire, a integrarmi in un gruppo e nel mondo in generale, senza capirne bene il motivo. L'unica cosa che capivo è che in qualche modo rimanevo costantemene esclusa, e spesso colpevolizzavo gli altri di questo, perché per me erano cattivi e non capivano niente: non mi accettavano per com'ero e ho sempre pensato fosse sbagliato. Giocavo quasi esclusivamente con mia sorella, l'unica che riusciva a capirmi al 100%, fatta eccezione per qualche amicizia che poi, per fortuna, è arrivata... ma solo quelle sulle dita di una mano, e quasi sempre con una constatazione ben precisa: "che io ho qualcosa di strano". Ma strano perché? Capivo che provavo come una sorta di vergogna o imbarazzo a parlare, e se lo facevo sentivo che tutti mi guardavano strano. Da allora iniziai a pensare, anche per opinione di familiari, che fossi semplicemente enormemente timida. Cosa che in effetti ero. In più, in tutto questo, oltre ad avere una personalità che taluni definivano "fredda", come incapace di trasmettere le emozioni attraverso una costante apatia (soprattutto quando mi trovavo al di fuori della mia "comfort zone", ma anche in famiglia non ero in grado di esprimere apertamente quello che sentivo) avevo un rendimento scolastico bacollante già dalla seconda elementare: non riuscivo a concentrarmi, a seguire le insegnanti, mi distraevo con una facilità allarmante iniziando a pensare ad altre cose di mio interesse, e anche se provavo a seguire una spiegazione mi rendevo conto che non riuscivo, così che spesso finivo per non comprendere quello che dovevo fare. Se poi qualcuno ci si metteva e faceva brutti commenti, tutto peggiorava perché tendevo a prendermela e a chiudermi ancora di più, provando il costante desiderio di uscirne il prima possibile. Gli unici momenti in cui mi sentivo a mio agio e me stessa erano due: quando potevo giocare con il paio di amici fatti al di fuori dell'ambiente scolastico e quando si tornava a casa. Lì, protetta tra le mura, mi sentivo al sicuro dal mondo esterno. Questo nonostante allora ci fossero grosse difficoltà in famiglia, e che certamente hanno avuto un'influenza a livello psicologico.


2. “L’autismo non è solo quello che si manifesta con sintomatologia severa, ma può riguardare persone che hanno una sintomatologia meno evidente”, spiega aTPI Laura Imbimbo, presidente del Gruppo Asperger Lazio Onlus. “Questa sintomatologia è meno evidente, ma non più leggera, perché poi le complicazioni nella vita adulta sono moltissime”, aggiunge. “Alcune persone hanno caratteristiche che poi non sono clinicamente significative, non creano difficoltà evidenti, e quindi rientrano nella ‘normalità’ o, più correttamente, nella neurotipicità”. Ci sono casi più evidenti: quando ad esempio un bambino non parla, si dondola, urla immotivatamente, ha paura di cose assurde, come i rumori forti, e non ha paura invece di altre, ha un problema di relazione col mondo e con il linguaggio. In questi casi, possono esserci delle reazioni devastanti da parte della persona, come un improvviso scatto d’ira, o l’insorgere di disturbi come ansia e depressione."


Potrei scrivere un libro sulle mie "complicazioni nella vita", che vanno da cose semplici a cose che hanno avuto un peso enorme. Essenzialmente, però, riguardano il fatto di non essere mai stata capace di trovare una mia strada, di tracciare un percorso ben definito prendendo iniziativa e trovare delle soluzioni, anche se non sapevo esattamente "cosa" volevo fare. Credevo che qualcuno avrebbe dovuto farmi da guida per introdurmi in certi campi e mi domandavo come avessero fatto gli altri a cavarsela tutto sommato facilmente, a riuscire ad organizzare i propri passi e sapere come e dove muoversi per conto proprio, trovando la totale indipendenza. Perché io invece non riuscivo allo stesso modo, cosa frenava la mia mente e la mia iniziativa? Credevo fosse sempre per timidezza. Io, poi, rientro in quei casi con caratteristiche "poco significative", proprio perché imputabili per lo più alla timidezza e a un po' d'ingenuità (difetti che con il tempo si sono man mano corretti, pur non scomparendo del tutto, almeno per la prima). Ciononostante ricordo che molti dei sintomi sopra descritti sono stati parte di me durante tutta l'infanzia, e anche oltre. Per esempio, non parlavo: a scuola non parlavo mai. Questo fino alle superiori, peraltro. Parlavo unicamente se interpellata, non fornivo praticamente mai opinioni e sentivo di non saper come intervenire anche quando gli alunni erano spronati a partecipare a una conversazione. Avevo semplicemente timore di non so cosa. Ovviamente, i compagni se la prendevano dicendo cose come "ma tu non parli mai, sei antipatica"... ma questo è nulla rispetto ai 10 anni di bullismo subiti ogni dì, bullismo ovviamente in gran parte tenuto nascosto. Questo fa capire quanto poco siano accettate le persone timide e con altri disturbi, non facendo altro che peggiorare il problema. A casa e in condizioni in cui mi sentivo a mio agio, comunque, parlavo spontaneamente... anche se da bambina avevo un linguaggio decisamente meno sviluppato rispetto la media (e in generale sono sempre maturata in ritardo sulla tabella di marcia). Le mie capacità comunicative a livello linguistico erano barcollanti se non pietose, anche fino a una certa età, ossia ai 20 anni. A leggermi adesso forse viene difficile crederlo (ma sappiate che parlo in un modo e scrivo in un altro, infatti per questo peferisco scrivere), eppure è così, avevo difficoltà ad esprimermi, tanto che persino negli scrutini scolastici veniva specificato questo livello "elementare e semplice" in relazione alla mia età, e a scrivere ero anche peggio. In quest'ultimo caso, se ho imparato qualcosa lo devo al gioco di ruolo che ho frequentato per anni, dove si scriveva per interpretare un proprio personaggio.

Dondolarsi: da bambina non mi dondolavo nel modo in cui lo fanno di solito le persone autistiche, o almeno non costantemente, ma ciò non toglie che non stavo comunque ferma. Ne ero del tutto incapace. Sbattevo le gambe, le muovevo in qualsiasi modo e molto spesso saltellavo sul posto senza motivo. Le gambe le muovevo specialmente se mi trovavo in situazioni che mi creavano ansia e disagio, per esempio quando, in prima media, andai dallo psicologo: mi domandò infatti "perché continuavo a muovere le gambe in quel modo". Un "tic nervoso" tutto sommato comune in casi in cui si prova ansia, e che dunque non ho mai preso in considerazione in modo più attento, ma pensandoci adesso penso possa trattarsi di uno di quei segni su cui riflettere. Non so comunque quanto voglia dire, è una cosa che faccio ancora: spesso, da seduta, mi rendo conto di non riuscire a smettere di far sobbalzare la gamba :D.

Urlare immotivatamente: non ricordo di averlo mai fatto "immotivamente". ma potrei anche sbagliarmi. Ricordo comunque che mi piaceva registrare audiocassette dove urlavo e schiamazzavo in modo insensato, cercando poi di mettere insieme solo determinati pezzi per creare suoni buffi. Quel che invece è più certo è che ho sempre coltivato scatti di collera e aggressività incontrollati, tanto che a volte mi ritrovavo a picchiarmi con mia sorella, e questo sintomo è peggiorato poi con gli anni. Invece per le paure non ricordo cose particolari nell'infanzia, ma dall'adolescenza ho cominciato a sviluppare una paura scatenante attacchi di ansia all'idea di dover parlare al telefono, senza spiegarmi esattamente il motivo, dato che fino a una certa età lo facevo senza problemi, anzi, facevo persino a gara per cercare di rispondere quando squillava. Ancora oggi, purtroppo, faccio fatica a fare una chiamata verso sconosciuti, e quando mi tocca farlo subisco prima la tachicardia e poi inizio ad esprimermi con difficoltà, senza riuscire a riordinare i pensieri, facendo confusione e usando un tono forzato che non sento essere parte della vera me stessa. Il problema di relazione con il mondo è, come dicevo, una delle cose di cui ho sofferto e soffro tutt'ora (nel senso che mi viene difficile, non che ci stia troppo male a livello emotivo), dato che mi impedisce di riuscire a partecipare a qualsivoglia ritrovo con persone sconosciute, non senza provare un enorme senso di reticenza, comprese ansia e disagio. Evito, se possibile, di farlo, cerco sempre di evitare il contatto con altre persone e ho sempre preferito rimanere da sola e ignorata. Anche quando qualcuno mi si avvicina per chiedermi qualcosa, per esempio al supermercato o per strada, spesso mi partono le paturnie e spero che finisca il prima possibile, anche perché sono incapace di mantenere una discussione attiva: quando non so cosa dire, e giuro che il più delle volte non mi viene in mente proprio nulla, rimango in silenzio. Di conseguenza inizio a provare un enorme senso di sconforto, ma se provo a rompere il ghiaccio finisco per mettermi in ridicolo. Le volte poi che mi sono arrabbiata sul serio ho sempre manifestato scatti d'ira e aggressività, anche per cose relativamente poco importanti... con il tempo ho iniziato a controllarli, ma ciò non toglie che mi capiti tutt'ora di venire pervasa da quel nodo di collera che bussa per esplodere.


3. “Finché non ti confronti e non hai relazioni con altre persone, sei portato a credere che gli altri funzionino come te”, racconta a TPI. “Ma in quel periodo io mi sono resa conto che per gli altri le cose non funzionavano come per me. Ricordo che ho fatto la prima vacanza di due o tre giorni a contatto con altre persone. Lì c’è stata l’esplosione: ho capito che c’era tutto un mondo diverso dal mio”. “Ci sono una serie di fatti sui quali sono riuscita per la prima volta a darmi una spiegazione”, dice.

“Ho capito perché quando ero piccola e in età adolescenziale passavo ore e ore a far calcoli, a giocare con le parole o con i numeri”, dice Barbara, che riesce a fare a mente calcoli complessi, anche con vari numeri dopo la virgola.

“Oppure capisco perché disegnavo sempre le stesse cose. Invece che avere stereotipie fisiche, diventava una stereotipia passare il tempo a disegnare sempre lo stesso soggetto su vari quaderni”.

“Ho capito come mai passavo il tempo in quel modo, e quindi non mi sento più strana. È confortante trovare il motivo”, sottolinea.

“Ma soprattutto mi sono spiegata perché non avevo amici, e questo è fondamentale per la propria autostima”, prosegue Barbara. “Prima pensavo di avere un brutto carattere. Ora ho capito la vera ragione per cui non riuscivo a instaurare un rapporto di amicizia duraturo, e questa è stata la scoperta sicuramente più importante”


Anche io, per un po' di tempo, ho creduto che i comportamenti che avevo fossero gli stessi di tutti gli altri. Ma nel mio caso c'è voluto molto meno per scoprire che in realtà non era così, che gli altri mi trovavano strana e diversa sotto diversi punti di vista. Lo vedevo chiaramente e sinceramente lo trovavo un vantaggio: mi sentivo al di fuori della massa, non cercavo di apparire assolutamente come gli altri volevano solo per farmi accettare dal gregge. Ricordo quello che mi disse un'amica di allora: a casa dichiarava di sentirsi "se stessa" quando eravamo assieme, eppure a scuola faceva finta di non conoscermi, nel senso che non salutava e ignorava completamente la mia esistenza. Mi disse "scusa se non stiamo assieme anche a scuola, ma mi vergogno a farmi vedere con te". Ero arrivata al punto di essere un fenomeno da baraccone, e se qualcuno osava essermi amico o farmi semplicemente compagnia, allora veniva preso di mira allo stesso modo, perché ero troppo strana e diversa. Dentro mi faceva male, ma ero incapace di comunicarlo e di comprendere a tutti gli effetti quanto questo fosse grave, così grave da meritare un approfondimento sulla questione. Invece di chiedere spiegazioni, di discutere, magari di arrabbiarmi anche, le dissi che "non importava". Sticazzi, oggi di fronte a una cosa manderei a fanculo senza pensarci due volte.

Sul tipico sintomo autistico dei comportamenti o interessi ripetitivi non sono mai stata evidente, se non con il disegno. Disegnavo sempre tantissimo, riempivo pacchi di fogli, elaborando per lo più figure femminili. Da bambina ero fissata con il disegnare lune umanoidi vestite e truccate. Per certi periodi non m'interessava disegnare altro dal soggetto che trovavo interessante. Non trovavo stimolo ad imparare a disegnare qualcosa di diverso, ma con il tempo questa cosa è migliorata, perché ogni tanto facevo anche paesaggi o rappresentavo altri personaggi. Non ritengo sia stata comunque una vera e propria ossessione. Più importante, forse, è il fatto che abbia sempre avuto altri atteggiamenti di tipo ossessivo compulsivo: se non facevo le cose in un preciso ordine, nello stesso identico modo tutti i giorni, a mo' di rituale, mi sentivo davvero male, come se sarebbe successo qualcosa di brutto. Purtroppo questa cosa mi attanaglia ancora oggi in alcune cose, dove devo assolutamente ripetere una certa routine per sentire che "va tutto bene".

In ogni caso, prendere coscienza di tutto questo è, come dice, confortante: perché se prima credevo di essere sempre stata io il problema, di essere sempre stata una persona incapace, inadeguata, poco intuitiva e per un lungo periodo anche ingenua, adesso capisco che non sono mai stata semplicemente imbranata, bensì in tutto ciò ha avuto un ruolo determinante quel che ormai sono convinta di avere.


4. "Le “diagnosi mancate” di disturbi dello spettro dell’autismo riguardano soprattutto donne, perché nel loro caso accorgersi dei sintomi può risultare più difficile. “Le bambine con una sintomatologia meno evidente, che imparano a parlare, e quindi sono nella c.d. fascia nella ex sindrome di Asperger, riescono a mascherare alcune loro difficoltà di socializzazione e comunicazione”, spiega la presidente dell’associazione Gruppo Asperger Lazio.

“Ci sono caratteristiche del modo di pensare e di vivere delle ragazze che fanno da ‘cuscinetto di protezione’ rispetto ai sintomi dell’autismo. Le donne comunicano e socializzano di più, si approcciano in maniera diversa e questo rende i sintomi meno evidenti. Da adulte possono però avere dei disagi”


Esattamente. Ho imparato a parlare, a scrivermi, a esprimermi sicuramente meglio negli anni: non sono, fortunatamente, peggiorata come purtroppo può accadere in età adolescenziale, pare in una minore percentuale rispetto a chi migliora (ma non si guarisce). Questo però non significa che i sintomi precedenti non siano esistiti o non vogliano più dire nulla. Oggi mi sforzo di sembrare normale, di utilizzare un certo comportamento quando ho la necessità di dover comunicare con gli altri o stare in mezzo ad altre persone: ripeto, devo sforzarmi, non mi viene mai spontaneo. Per me è difficile esprimere esattamente cosa ho provato, cosa provo ancora oggi, cosa ho passato... non so se posso farlo capire nel modo giusto, perché forse quelli che sto descrivendo sembrano disturbi di altro tipo o vizi normali che hanno tutti, non certo parte di una patologia importante. Ma credetemi, soprattutto da bambina l'anomalia c'era eccome, con la coscienza di oggi la distinguo perfettamente. Comunque, dicevo che quando mi tocca rapportarmi con altre persone inizio a pensare a cosa/come fare ciò che devo o quel che devo dire, a volte riuscendoci, altre volte facendo solo la figura della tonta fuori dal mondo. Ne ho fatte di figure di merda per un'apparente impacciataggine, il marito confermerà certo. Ah, ricordo anche in prima superiore che una delle insegnanti, prendendomi a parte un momento, mi domandò in faccia se fossi malata. Non riuscivo a capire perché stesse domandando una cosa del genere e naturalmente negai con stupore. Quindi era questa l'impressione che gli altri percepivano di me, una persona affetta da un disturbo di qualche tipo. In un'altra occasione fu la direttrice della scuola media a chiamare i miei genitori e consigliare un programma dallo psicologo, proprio perché aveva intuito che c'era un problema che andava diagnosticato. Purtroppo non potei proseguire il percorso per cause di forza maggiore, ma ora capisco che tutte queste difficoltà anche attuali sono un retaggio del problema che ho sempre ignorato per inconsapevolezza, e che non scomparirà mai del tutto.


5. “Esistono una serie di segnali che non sfuggono a un occhio esperto, ma che non sembrano significativi a chi non è uno specialista”, racconta Barbara.

I sintomi visibili in una donna sono gli stessi che valgono per gli uomini, solo che spesso sono più coperti.

Si tratta ad esempio di atteggiamenti di stereotipia, cioè la ripetizione di una sequenza invariata e costante di uno o più comportamenti motori, o attinenti alla comunicazione, ai giochi o al disegno.

“Mentre nei maschi una stereotipia motoria,  come dondolarsi in una situazione di stress, può essere più evidente, nel senso che lo fa vedere anche agli altri, la donna è più attenta alle situazioni sociali per cui magari si dondola in camera sua. Riesce a controllarsi di più perché sa che il giudizio della società è importante”, sostiene Barbara.

Poi ci sono le difficoltà nel comprendere il linguaggio, come la comprensione letterale delle frasi, più che il loro reale messaggio"


Su questi punti mi sono già espressa, anche se non ho precisato che ancora oggi, quando per esempio mi ritrovo a dover fare qualcosa in pubblico, per esempio se ho un appuntamento da qualche parte e sono in piedi o anche seduta a una reception o in uno studio, faccio fatica a stare composta. Capisco che il continuare a muovermi, però, mi possa far sembrare agitata e quindi a un certo punto prendo consapevolezza e cerco in ogni modo di evitare... talvolta non riuscendoci, ma sto migliorando a correggere questo difetto, che personalmente ho sempre attribuito all'ansia. Non parliamo poi di quando mi tocca spiegare qualcosa: come detto prima, ancora oggi faccio una confusione pazzesca e non di rado le persone mi dicono di non aver capito nulla. E' come se sentissi di avere un blocco che mi porta a non riuscire a riordinare le frasi come vorrei, mi si accavallano e cerco poi di ricorreggerle, crendo una comunicazione goffa e impacciata -scrivere, per ovvi motivi, mi permette invece di riflettere con calma-. Non riesco nemmeno ad esprimere esattamente quello che vorrei, nel senso che è come se avessi un costante freno che non mi permette di trovare un insieme di parole adatto allo scopo. Quando ci riesco, il più delle volte è perché mi sto sforzando, non perché mi venga esattamene in maniera spontanea e fluente. Ecco perché, anche per Hastlevain, ho sempre detto di essere un po' come Kuro, uno che non riesce ad andare oltre a un certo punto, a superare quella barriera invisibile erettasi spontaneamente attorno a lui.


6. "Un’altra cosa che neanche le donne riescono a “mascherare” è la difficoltà nella gestione degli imprevisti.

“È una difficoltà che emerge in situazioni molto banali”, sottolinea Barbara. “Ad esempio se si ha un appuntamento con una persona alle 20, e lei arriva alle 20.15, durante quel quarto d’ora si sperimenta un’ansia molto elevata. Non si sa cosa fare, non si sa se chiedere, fare una telefonata, mandare un messaggio, aspettare. Al punto tale che alla fine la persona arriva ma si litiga, ed è difficile che la serata continui”


Anche qui è qualcosa che mi è accaduto varie volte. Andare nel panico per poco e non sapere che cosa fare, un disastro nel gestirmi, insomma. Mille timori per niente, anche se non per forza attinente all'esempio espresso: per esempio, se ho un appuntamento con qualcuno, specialmente un conoscente, non mi crea nessun problema il fatto che sia in ritardo di 15 minuti. Inizio a pensare semplicemente che forse abbia avuto un imprevisto. Se però il ritardo si prolunga di molto, allora nei confronti di persone sconosciute inizio a sperimentare l'ansia e il non saper cosa fare, se prendere iniziativa o aspettare che, come sempre, siano gli altri a fare qualcosa.


7. "Uno degli altri segnali collegati all’autismo è la difficoltà a guardare negli occhi l’interlocutore. “Guardare negli occhi l’interlocutore crea un ulteriore stimolo: bisogna unire l’udito alla vista, al guardare negli occhi. E gli occhi distraggono perché dicono tante cose. È una cosa sensoriale”, spiega Barbara. “Ma le donne che hanno un disturbo nello spettro dell’autismo ce la possono fare, ti guardano negli occhi. Non è una caratteristica che hanno tutte le persone con questo disturbo”.


E questo è il sintomo che forse sento tra i più evidenti in assoluto per me stessa. Da bambina e in adolescenza non riuscivo a guardare negli occhi nessuno. E con "nessuno" intendo chiunque, familiari compresi. Mia sorella era l'unica che riuscissi a guardare senza provare non so nemmeno che cosa... forse disagio o timidezza. Mi ricordo una volta, in un supermercato, che uno del personale con cui stavo parlando si accorse che, quando gli rispondevo, non guardavo lui ma mia sorella, e mi domandò in effetti perché non lo guardavo negli occhi. Capivo che non era una cosa normale, e il tipo me lo aveva persino sottolineato, ma proprio non riuscivo a farlo. Se ci provavo sentivo come se gli altri potessero entrarmi nell'anima e questo mi creava un disagio smisurato. Avevo anche paura del loro giudizio, ossia come trovassero il mio sguardo o il mio aspetto fisico. Oggi questo sintomo è di molto migliorato, nel senso che il più delle volte riesco a guardare negli occhi le persone o, per meglio dire, "in faccia", ma purtroppo mi succede ancora di non riuscire a farlo a lungo e di sentire quindi la necessità di distogliere la vista; altre volte mi rendo conto di guardare il viso in generale, senza mai restare ferma solo sugli occhi. Anche qui, dunque, se guardo a lungo capita che sia solo perché mi sto sforzando di farlo. Le sensazioni non sono più tali e quali quelle di allora, certo, ma avverto ancora lo spettro di esse. Ci sono situazioni in cui si fanno evidenti, e purtroppo non è sempre facile gestirli e sembrare normali. Poi dipende anche dalle persone: con chi conosco bene ho meno difficoltà, e anche con chi mi trasmette una buona sensazione.


8. “Fare la diagnosi su adulti è impegnativo, ci sono pochi esperti che lavorano nel settore pubblico (di solito psichiatri) che sono in grado di farla. E sulle donne riescono a sbagliare ancora, per quanto esperti”, sostiene Barbara. Barbara vive da sola, ed è sempre stata per conto suo. Altre donne che hanno un disturbo dello spettro dell’autismo, e che lei conosce, sono finite in relazioni con uomini pericolosi.

“Il rischio è che siano ingenue nelle relazioni, proprio per la mancata comprensione dei messaggi. Possono crearsi delle situazioni pericolose: dall’imbroglio economico sino allo sfruttamento al fine della prostituzione, in casi estremi”.

La conseguenza più frequente di una mancata diagnosi da bambini, invece, è che ci siano difficoltà nello svolgere attività lavorative e nell’avere una vita autonoma.

“Non è detto che una mancata diagnosi porti a una franca patologia psichiatrica”, dice Barbara. “Sicuramente il rischio di incorrere in ansia e depressione c’è. Ma non è una regola, dipende anche dall’ambiente, dalla disposizione genetica e dalla situazione”.


Sono stata ingenua per tanto tempo: ho iniziato a uscirne che ormai ero grandina, e avevo affrontato alcune esperienze sgradevoli, con persone conosciute su Internet della cui buona fede ero assolutamente convinta, ma che in verità avevano avuto tornaconti personali o mi avevano mentito. Ho faticato per iniziare a capire meglio le persone e le loro intenzioni, a non dare sempre fiducia e confidenza al primo buon samaritano che passava. Da bambina e da adolescente non capivo manco il sarcasmo: mi offendevo, me la prendevo, non stavo al gioco e prendevo l'ironia sul serio, finendo poi per trovare fastidiosa la persona che ne faceva uso. Poi ho iniziato a intuire e comprendere perfettamente (tanto che non manco di usare io stessa ironia e a volte sarcasmo quando mi si presenta l'occasione), anche se di contro ho iniziato a non fidarmi più del necessario e a rifutare quasi sempre qualsivoglia approccio più diretto, spesso anche nuove amicizie. Sono altamente diffidente e non sono mai più riuscita a creare un forte legame con qualcuno.

Oggi ho una persona che mi ama, ma anche qui, nella nostra relazione, ho avuto un approccio e una considerazione della situazione a tratti inspiegabile, non da me, che mi ha portato a uno stravolgimento che purtroppo ha coinvolto altre persone.

Poi, una delle cose più evidenti, molto tristemente, è sempre stata la mia incapacità a riuscire a trovare il modo di fare qualcosa: come viene detto ho sempre avuto difficoltà a svolgere attività e quindi ad avere autonomia. Ho sempre sentito, o meglio, forse creduto di aver sempre avuto bisogno di qualcuno che mi aiutasse, perché non sapevo come fare certe cose per conto mio. Ne consegue che non sono mai riuscita a trovare lavoro, che abbia sempre avuto difficoltà a capire come muovermi in certe situazioni e, se da una parte c'entra la mancanza di un titolo specializzato, dall'altro la causa è sicuramente imputabile al mio atteggiamento e alla mia incapacità di allora di rendermi sicura e volitiva. Ho sostenuto alcuni colloqui, l'ultimo dei quali che credevo fosse pure andato abbastanza bene... ovviamente non venni mai richiamata, e con il senno di poi capisco bene il perché. Se ripenso a come comunicavo, a com'ero impacciata, a come apparivo inadeguata, ci credo che abbiano preferito persone dall'apparenza più spigliata e rilassata.


L'articolo conclude con questa frase: “Ci sono donne che iniziano ad avere questo sospetto a 40 anni, o addirittura a 60 anni, quando ormai a loro non importa più nulla, perché magari hanno una relazione fallita alle spalle, figli in giro per il mondo”, dice Barbara. “Vogliono solo darsi una spiegazione sul perché siano successe tante cose”.


Ed effettivamente è così... trovare una risposta a tante domande ti fa praticamente desiderare che sia così, che sia davvero tutto dovuto a questo disturbo. Non è quindi una cosa poi così negativa, perché ti dice che non sei soltanto tu ad essere sempre stato un inetto, ma c'era un problema non percepito in tempo che ha generato delle determinate conseguenze. Per chi è come me, una cosa del genere è più confortante che tragica. Oggi so come sono, ho imparato ad accettarmi così... continuerò ad avere delle difficoltà, quasi sicuramente a cercare di evitare situazioni che so mi metteranno a disagio (ma con delle parentesi positive: la gravidanza e la presenza di mia figlia mi hanno spesso obbligata a dovermi sforzare di fare determinate cose, permettendomi di migliorare e imparare, nonché a gestire un po' meglio le emozioni), e ovviamente a preferire la solitudine alla prospettiva di dovermi integrare in un gruppo... ma almeno ho finalmente le risposte che cercavo. So anche bene che prima di farmi un'autodiagnosi ed esserne così sicura dovrei quanto meno informarmi un po' di più e confrontarmi con chi nel campo ci lavora e ha una certa esperienza, eppure non posso fare altro che ritrovarmi nella totalità della sintomatologia, quella lieve, quella meno evidente, che è propria dello spettro dell'autismo, e che continua a dirmi che è così.

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