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Hastlevain, prima e dopo le correzioni

Avevo già accennato nel blog che da qualche parte avrei inserito una pagina o un post dedicato ai cambiamenti più curiosi che ho effettuato durante le revisioni al primo e al secondo volume. Attendevo giusto la pubblicazione di quest'ultimo, prima di farlo.
I cambiamenti non sono quasi mai particolarmente pesanti, cioè non ho mai stravolto le cose facendo modifiche assolute sulla trama o sui personaggi: nella maggior parte dei casi si tratta di una messa a confronto tra vecchio e nuovo, per tenere traccia dell'evoluzione che Hastlevain ed io abbiamo subito nel tempo. In altri casi, invece, sono modifiche rese necessarie per altri motivi, come per esempio un eccesso di esplicito in ciò che accade a Kira nel secondo libro. Insomma, se siete così fan di Hastlevain da avere la voglia/curiosità di leggere e conoscere alcuni dei suoi passi "dietro le quinte", andate pure avanti. Forse la lettura non sarà breve, ma mi farebbe anche piacere sapere che ne pensate di questi piccoli cambiamenti.
Ah, dimenticavo: i primi 5-6 confronti sono gli stessi che ho pubblicato nel blog tempo fa, dal titolo "un po' di evoluzione". Successivamente i sono quelli nuovi.
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PRIMO CONFRONTO: PROLOGO - VOLUME I (modificare l'incipit tremila volte)
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PRIMA VERSIONE

 

Era una notte come tante. Una notte fonda e priva di luna, che rendeva gioco facile alle menti ingannevoli e meschine della gente cospiratrice. Una di quelle notti quiete e fragili, in cui l’odore di intrighi sboccia infestando l’aria. A fare da protagonista sul panorama era la dimora di uno dei tanti signorotti benestanti, spiccante oltre il lugubre vuoto delle guglie dei sobborghi, una dimora tuttavia priva di fregi. Soltanto molto pi? vasta e risaltata dalla sua posizione, che trovava spazio al di sopra di un promontorio. Il signore che ci viveva godeva di buona fama, eppure alcuni vociferavano di favoritismi e intrugli con gente dei piani alti. Infondo, non si trattava dell’unico abbiente che soverchiava sul quartiere? Due ombre sfuggirono all’attenzione dell’unico paio guardie appostate, che sonnecchiavano all’ingresso. Due ombre fugaci, abbracciate dal colore della notte. Passarono verso l’alto del soffitto con agilità, senza lasciare traccia della propria venuta: la notte proseguiva nel silenzio indisturbato, nella fallace quiete spezzata solo dal canto di qualche grillo. Le ombre si destreggiarono in uno stretto passaggio, trascinandosi. Ed infine raggiunsero la meta designata.

 

Una di loro si fermò rannicchiata, mentre l’altra si spinse ancora in avanti e si calò gi? da una feritoia con agilità. Si ritrovò in uno spazio buio e angusto, in cui gli odori di muffa e di chiuso aleggiavano viziati. Nessun rivolo d’aria fresca riusciva a filtrare tra gli interstizi delle legnose pareti, le cui assi erano state poste in modo impreciso ed irregolare. Lo stanzino si presentava in maniera piuttosto spoglia, con un unico mobile accostato malamente in un angolo, le cui ante erano tarlate e rovinate: puzzavano di un acido dolciastro. I suoi finimenti erano in ottone, completamente anneriti dal tempo e coperti di polvere. Lo spazio era sufficiente solo per poche persone. Il pavimento era di un legno marcio e indebolito e sul soffitto sporgevano dei pali che sostenevano una muraglia ingobbita formata da sassi ammassati, che ad un lato si scavavano a delineare una fessura non molto grande di forma rettangolare, probabilmente una presa d’aria che pareva non svolgere la sua funzione: si trattava del condotto da cui l’ombra era scesa. A nord, si affacciava una minuta porticina a scorrimento di tela, il cui scheletro di legno appariva ancora pi? malconcio.

In quello spazio buio, soffocante e silenzioso, l’ombra avanzava con la consapevolezza di avere una vittoria in pugno. Il suo sguardo era serio ed immobile, i muscoli rilassati e dettati da movimenti precisi e minuziosamente studiati, le ginocchia appena flesse e il busto chino in avanti. Così procedeva Yura, in una determinazione del tutto naturale, come l’ombra di una fiera che nel crepuscolo caccia la sua preda. Istinto e abilità innate erano le caratteristiche predominanti che la avvolgevano in un alone di mistero: chi la conosceva e chi la guardava provava ammirazione e paura, titubanza ed invidia. Poiché era temuta, nessuno osava mettere in discussione la maestria con cui si destreggiava nelle difficili missioni che i suoi superiori le assegnavano. E questa era una di quelle missioni, missioni in cui la perfezione non era una preferenza, ma un obbligo.

Nonostante questo, per lei era tutto dannatamente troppo facile, un lavoro che ostentava giudicare “da principianti”.

 

Yura manteneva il proprio respiro sottile e tranquillo, infondo sapeva di non avere alcun motivo per mettersi in agitazione. Procedeva verso la porta in un passo lento e curato e soprattutto, senza fare rumore. Le assi di legno erano vecchie e scricchiolanti, eppure lei era in grado di ovviare al problema semplicemente adattandosi alle inclinazioni del terreno. Mutava il proprio equilibrio, appoggiava prima il tallone e poi la pianta del piede. Altrimenti, procedeva con leggiadria alzandosi sulle sole punte, come se quella intrapresa fosse una danza del silenzio. E anche se buio, riusciva a distinguere le figure di quel che la circondava. Evitava di camminare sulle assi di legno pi? malconce e sapeva già qual era l’esatta ubicazione della foratura a cui mirava sin dall’inizio, scavata nella tela che ricopriva la porta. Sei, sette, dieci passi impalpabili come l’aria ed era lì, china su se stessa ad osservare la meta finale raggiunta. Avvicinò un occhio al buco nella tela e guardò attraverso, senza mai scomporsi. Il proprio autocontrollo era così sviluppato da riuscire a mantenere assoluta stabilità e fermezza per tutto il tempo desiderato.

 

 

VERSIONE ATTUALE

 

Era una notte come tante sull'isola orientale di Edom, solitario fiore di terra che sbocciava nel bel mezzo dell'immenso oceano Namiko. Era una di quelle notti quiete e fragili, dove l'assenza della luna rendeva gioco facile alle menti ingannevoli e meschine della gente cospiratrice, in cui l'odore di intrighi sbocciava silenzioso, infestando l’aria e diramandosi tra i vicoli più bui delle città. Vero protagonista di quell'oscuro panorama, tuttavia, non era il maestoso albero secolare del villaggio di Eoen, le pagode dei Giganti che svettavano a nord come fortezze o il profilo lucente delle Montagne di Vetro, ma la dimora di uno dei tanti signori benestanti che vivevano nella regione centrale di Saroko, presso la città di Sabisi, stagliata con presunzione nel lugubre vuoto al di sopra dei sobborghi. A dispetto di quanto si sarebbe potuto pensare era una struttura piuttosto semplice e priva di sfarzo, nonostante le dimensioni e la posizione sopraelevata le avessero conferito una certa notorietà nel tempo. Il signore che ci viveva godeva di buona fama, eppure non pochi erano coloro che vociferavano di favoritismi e affari “particolari” allacciati con molti nobili di alto rango. Di fatto, si trattava dell’unico abbiente che soverchiava il quartiere.

Due ombre sfuggirono all’attenzione di un paio di guardie appostate all'ingresso, agiate in un gradevole torpore innaturale: due ombre fugaci e abbracciate dal colore della notte, rapide e leggere come un guizzo d'aria primaverile. Con la flemma di un agile felino arrivarono sul muro di cinta, e con l'aiuto di un pratico rampino si spinsero fino al tetto senza lasciare traccia del loro passaggio. La notte proseguì nel silenzio totale, una fallace quiete spezzata solamente dal canto di qualche grillo. Le ombre si destreggiarono in uno stretto passaggio del sottotetto, trascinandosi come serpi, e infine raggiunsero la meta designata sparendo nel buio.


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All'interno dell'edificio una delle due figure si fermò in posizione rannicchiata, mentre l’altra si spinse più avanti, calandosi abilmente dal claustrofobico passaggio. Ben presto si ritrovò in uno spazio angusto e privo di luce, in cui aleggiavano odori viziati di muffa e umidità: pochi rivoli d’aria fresca filtravano a fatica tra gli interstizi delle legnose pareti, le cui assi erano state assemblate in modo irregolare. Lo stanzino era fin troppo spoglio per appartenere alla casa di un benestante, con un unico mobile dalle ante tarlate e che puzzava di un acido dolciastro accostato malamente in un angolo. Ogni oggetto era coperto dalla polvere e sia il pavimento di legno che il soffitto erano marci, con una gobba centrale sorretta alla buona da alcune travi trasversali. Le pareti, invece, erano composte per lo più da pietre sbozzate: in alto, sul lato sinistro, delineavano una fessura artificiale non molto grande e di forma rettangolare, il sotto tetto da cui l’ombra si era appena calata, mentre a nord si affacciava una minuta porticina di tela a scorrimento, il cui scheletro di legno era ancora più malconcio. “Pensavo che tutti i nobili si trattassero come presunti Dei” pensò sarcasticamente l'ombra.

In quello spazio buio e soffocante, appena sufficiente a contenere due o tre persone, l'ombra avanzava con la certezza di poter raggiungere il suo scopo in modo estremamente semplice. Il suo sguardo dagli occhi blu, proprio di una giovane sulla ventina d'anni, era serio e immobile, i muscoli rilassati e dettati da movimenti precisi e minuziosamente studiati, le ginocchia appena flesse e il busto chino in avanti. Così procedeva Yura, in una determinazione del tutto naturale, come l’ombra di una fiera mentre caccia la sua preda. Coerenza e abilità innate erano le caratteristiche predominanti in lei: chi la conosceva e chi la guardava provava ammirazione o soggezione, rispetto o invidia. Poiché era capace e talvolta temuta, nessuno osava mettere in discussione la maestria con cui si destreggiava nelle missioni che le venivano assegnate, missioni in cui non era consentito commettere errori: ogni azione doveva essere soppesata ed eseguita alla perfezione. Nonostante questo, per lei stava iniziando a diventare tutto troppo facile, un lavoro che ostentava giudicare “da principianti”, e quella missione in fondo lo era. Yura mantenne il respiro sottile e tranquillo e procedette verso la porta con passo lento e curato, senza fare rumore: le suole forate dei tabi l'aiutavano ad attutire ogni suono. Le assi di legno erano vecchie e scricchiolanti, ma il merito del suo silenzio non era solo delle calzature: la ragazza era in grado di ovviare al problema adattandosi alle inclinazioni del terreno e al materiale che lo componeva. Mutava il proprio equilibrio, appoggiava prima il tallone e poi la pianta del piede, altrimenti procedeva con leggiadria alzandosi sulle sole punte, come se quella intrapresa fosse una danza del silenzio: nuki ashi, yoko aruki, kakizami ashi… solo alcuni tra gli aruki, le tecniche di passo utilizzate nel ninjutsu. Anche se buio riusciva a distinguere le sagome di ciò che la circondava, ed evitava di camminare sulle assi più malconce. Inoltre, grazie alle esplorazioni precedenti e all'aiuto dei messaggeri del Clan, conosceva già da tempo quello stanzino e l’esatta posizione della sua meta: si trattava di un foro praticato con uno shikoro -una speciale sega circolare- nella membrana che ricopriva la porta. Sei, sette, dieci passi impalpabili come l’aria ed era lì, china su se stessa ad osservarlo. Avvicinò un occhio e ci guardò attraverso: il suo autocontrollo era così sviluppato da permetterle di mantenere assoluta stabilità per tutto il tempo che desiderava.


 

Insomma: personalmente credo che rimarrò insoddisfatta di questo capitolo finché non lo riscriverò da zero. Per esempio, mi sono resa conto che alcuni errori mi sono completamente sfuggiti (tipo “Yura stanziava”)... quindi chissà che in futuro non faccia un'ulteriore correzione :/. Continuiamo...

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SECONDO CONFRONTO: CAPITOLO 1 - VOLUME I (una Yura insopportabile)

 

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PRIMA VERSIONE
 

La ragazza, seduta di fronte ad un tavolino basso quasi rasente al suolo, teneva le mani poggiate sulle cosce ed il capo chino, con i lunghi capelli scarlatti che le scendevano di fronte. Restava silenziosa, ad ascoltare l’uomo che era seduto dall’altro lato nella sua stessa maniera, di fronte a lei. Ma teneva il volto alto, un volto severo e segnato dall’età. Aveva il capo avvolto in un aderente cappuccio, le sopracciglia folte e scure. La fronte era tracciata da qualche ruga, gli occhi color nocciola e la pelle di un colore ancora vivido e bronzeo. Il taglio degli occhi era preciso, quello inconfondibile di un orientale: il suo era un popolo famoso per la grande pazienza e la propensione alle arti marziali.

«Hai fatto bene il tuo lavoro. Il signor Takama, d’altra parte, viveva da solo… immagino che il tutto sia durato molto meno tempo del solito.»

Yura annuì, e alzò i suoi occhi blu verso quelli marroni dell’uomo. Ci mise qualche istante, prima di parlare.

«Non abbiamo trovato nessun ostacolo e le guardie dormivano. A questo punto, sarei anche potuta andare da sola. Kuro era una presenza non necessaria. Anzi, credo si sia annoiato.»

L’uomo trasse un sospiro e appoggiò le sue mani sopra il tavolo, massaggiandosele. La sua fronte si riempì di altre rughe quando la corrugò, facendosi pensoso. E solo dopo un po’ riprese con un tono che aveva un che di colpevole.

«Lo so, Yura, ma finché non saremo riaccettati a Heian, siamo costretti a sottostare al volere del signore locale. Sai che cosa ? successo. Siamo in esilio, per colpa del Clan delle Ombre Arcane. Meglio per noi che non siamo stati giustiziati e fatti cuocere nell’olio bollente, sarebbe potuto benissimo succedere.»

Yura trasalì, e dovette fare uno sforzo per trattenersi. Strinse le mani in due pugni e si limitò ad alzare leggermente il volto, guardando sempre negli occhi l’uomo.

«Hayate… ti giuro che torneremo a Heian, le nostre radici sono lì e la nostra casa pure. Quando la verità verrà finalmente alla luce, sarà il Clan delle Ombre Arcane ad essere punito come merita. Ma tutta questa impotenza mi sta divorando… siamo ninja professionisti, com’? possibile che siamo finiti in que…» non poté finire la frase, perché notò l’espressione di Hayate farsi ancora pi? severa. Era un’espressione che non si poteva contraddire, quella che solitamente non prometteva nulla di buono. Yura si ricompose perfettamente, chinò il capo e tornò a fissare le proprie mani, i cui pugni si erano abbandonati, tornando così a sfiorare le cosce in modo rilassato e quieto. Seguì un lungo silenzio, non imbarazzante, ma colmo di tensione. Hayate era l’unica persona in grado di metterla in piena soggezione e così anche per questo lo riconosceva come capo e come maestro, come unica autorità degna di fregiarsi di un titolo importante quale quello del Jonin. Sapeva che quell’uomo possedeva una mente aperta, brillante e sincera, ma soprattutto determinata, giusta e combattiva. Un tipo di uomo forte e valoroso, dal polso di ferro, che sa di poter ottenere tutto ciò che vuole.

Yura proseguì con voce calma ma decisa, senza lasciare alcuna traccia della tensione provata un attimo prima. «Kuro può restare qui. Le missioni di Kaotama sono per ninja principianti. Ne basta uno.»

Con quelle ultime parole, si levò in piedi con agilità, voltandosi alla svelta ed iniziando ad avviarsi verso l’uscita della tenda. Hayate dovette richiamarla in fretta, prima di vederla svanire oltre la soglia «Yura…» la ragazza si volse, mantenendo la compostezza di poc’anzi, seria ed imperscrutabile.

«Yura, Heian ? casa nostra. Tu però sai meglio di me che la pazienza ? una delle armi delle nostre vittorie. Vai ora, vai a riposarti. Evita di pensare oltre, l’autocontrollo é facile agli avvenimenti e ai mutamenti.» Yura colse in pieno il significato di quelle parole. Fece un unico inchino, prima di voltarsi ed uscire, silenziosa e svelta come se ancora si trovasse coinvolta nella missione.


 

VERSIONE ATTUALE
 

La ragazza era seduta di fronte a un tavolino quasi rasente al suolo, teneva le mani appoggiate sulle cosce e il capo chino, con i lunghi capelli scarlatti che le scendevano davanti; restava in silenzio, ascoltando l’uomo che era seduto, come lei, dall’altra parte. A differenza della ragazza, però, manteneva il volto sollevato: un viso dai connotati severi e sulla quarantina d'anni. Aveva il capo avvolto in un aderente cappuccio e le sopracciglia folte e scure, la fronte tracciata da qualche sottile ruga, la pelle di un colore ancora vivido e bronzeo e il taglio degli occhi -di un bel nocciola intenso- era stretto e affilato, caratteristica comune e inconfondibile di un orientale nativo dell'isola. La guardò restando immobile.

«Hai svolto bene il tuo lavoro. D'altra parte, il signor Takama viveva da solo se si escludono le sue guardie… immagino non ci siano stati problemi a superarle.»

Yura annuì e alzò i suoi occhi blu verso quelli marroni dell’uomo; prima di rispondergli temporeggiò per qualche istante.

«Infatti. Non abbiamo trovato ostacoli, e come previsto le guardie erano troppo impegnate a sonnecchiare per accorgersi di noi. Sarei potuta benissimo andare da sola… Kuro era una presenza non necessaria per una missione così elementare» fece con un sommesso sospiro.

L’uomo trasse a sua volta un sospiro e appoggiò le sue mani sopra il tavolo, massaggiandosele. La sua fronte si corrugò ulteriormente e l'espressione si fece meditabonda; solo dopo un po’ riprese con un tono che aveva un che di colpevole.

«Lo so, Yura, ma ho i miei motivi. Inoltre, finché non saremo riaccettati ad Heian -semmai questo avverrà-, siamo comunque costretti a sottostare al volere del Raurhu e a fare quel che possiamo con i ninja che ci sono rimasti. Sai bene che cosa è successo» le ricordò «e abbiamo bisogno di denaro; ci è andata già piuttosto bene, visto che potevamo finire nell'olio bollente.»

Yura strinse appena le mani e alzò il volto con un leggero guizzo.

«La verità non potrà rimanere nascosta ancora a lungo. Un giorno torneremo a Heian, lo so, ma tutta questa impotenza mi sta divorando… siamo ninja professionisti. Com'è possibile che siamo finiti così stupidamente in que-?»

Quando notò l’espressione di Hayate farsi ancora più rigida, Yura s'interruppe di colpo. Era un’espressione che non si poteva contraddire, e che solitamente prometteva un castigo. Yura si ricompose, chinò il capo e tornò a fissare le proprie mani. Seguì un lungo silenzio, non imbarazzante ma colmo di tensione. Hayate era uno dei pochi in grado di metterla in profonda soggezione e, all'interno del suo Clan, non aveva problemi nel farsi rispettare (e ammirare) nel ruolo di Jonin. Era il tipo di uomo risoluto e valoroso, quieto e severo, un uomo dal polso di ferro convinto, sempre e comunque, di raggiungere i propri obiettivi.

«Kuro può restare qui» disse Yura con voce calma, ma senza lasciare alcuna traccia della tensione provata un attimo prima «le missioni di Kaotama sono per Genin, forse addirittura per Iniziati. Ne basta uno.»

«…Comprendo» dichiarò il maestro con tono basso. Lasciò trascorrere alcuni istanti di silenzio, poi cambiò argomento «ah, prima che me ne dimentichi: voglio che riferisci a Cuore Alato che ci dovrà essere anche lui, all'esame delle Reclute di questo pomeriggio. Inoltre andrete tutti e due a Kondo e mi procurerete ciò che ho scritto su questa lista» disse tirando fuori un pezzetto di carta di riso, passandolo a Yura. Lei lo prese fra le dita e lo lesse con una sola occhiata.

«Nessun problema. Partiremo subito, così non rischieremo di arrivare in ritardo all'esame… vado a chiamarlo.»

Con quelle ultime parole si alzò agilmente in piedi, voltandosi alla svelta e iniziando ad avviarsi verso l’uscita della tenda. Hayate la chiamò prima che sparisse.

«Yura…»

La ragazza si voltò composta, lo sguardo serio e imperscrutabile. Ascoltò immobile il maestro.

«Yura, Heian è casa nostra. Tu però sai meglio di me che la pazienza è una delle armi vincenti di un ninja. Non sentirti umiliata, non lo è nessuno di noi. Vai ora, vai a Kondo e approfittane per scaricare un po' della tensione accumulata. Evita di pensare oltre, l’autocontrollo è facilmente sensibile agli avvenimenti e ai mutamenti.»

Yura colse in pieno il significato di quelle parole; fece un unico inchino prima di voltarsi e uscire, silenziosa e svelta come se si trovasse ancora coinvolta nella missione.


 

Mi sono resa conto che Yura, nella prima versione, appariva molto più “antipatica”. Certo, ho sempre voluto per lei un atteggiamento un po' per le sue, taciturno e tranquillo, ma non del tipo odioso, scazzato e pieno di avversione, che non vuole condividere niente con nessuno e tratta tutti freddamente. La volevo comunque in grado di offrire amicizia, sorridente e capace di rallegrarsi e scherzare nelle occasioni adeguate. Forte ma con le sue debolezze interiori, e così nel tempo credo di averla modificata spontaneamente.

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TERZO CONFRONTO: CAPITOLO 1 - VOLUME I (Yura insopportabile parte 2)

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PRIMA VERSIONE


Le immagini nella mente si sovrastarono le une sulle altre, dando inizio ad una massa confusionaria di colori e di suoni. Yura rincorreva il ricordo successivo a quell’inizio, dopo che al suo Clan fu affidata quella maledetta missione. Ci erano cascati in pieno e quel che le faceva pi? rabbia era la consapevolezza di essere stati ingannati dal Clan delle Ombre Arcane. Strinse le labbra e spalancò gli occhi: doveva smettere di rievocare le disgrazie, smettere di alimentare ed accrescere la propria rabbia, la propria sete di vendetta. Perché lo sapeva, lei non era una ragazza facile al perdono. Un solo torto e si sarebbe vendicata, in un modo o nell’altro. La rabbia repressa che scorreva nelle sue vene aveva già provocato in passato qualche litigio di troppo, nonché diatribe che potevano essere evitate. Negli ultimi anni aveva imparato a sfruttare l’autocontrollo e a capire quel che fosse strettamente necessario fare, ma di fronte a simili sciagure non si stupiva affatto di qualche ricaduta. Ora poteva sentire perfino l’odore del suo odio.

Fece per scendere dal grosso ramo, ma si fermò non appena si drizzò in piedi.

 

«Cuore Alato, perché sei qui?»

La domanda di Yura prese alla sprovvista il ragazzo, che si era fermato sotto il ramo ad osservarla. Era abbastanza alto, magro, con occhi e capelli scuri. La carnagione lattea dava risalto alle labbra rosse e carnose e la corporatura, seppur esile, era ben modellata. Vestiva alla maniera dei ninja, un abito largo e nero chiamato “shozoku” trattenuto in vita da una cintura. Le maniche erano strette fino ai gomiti, per poi allargarsi sul resto del braccio. Stessa cosa i pantaloni: si restringevano da sotto il ginocchio in gi?, finendo all’interno degli stivali tabi, calzature che dividevano l’alluce dalle restanti dita dei piedi. A differenza delle altre uniformi, però, la sua aveva sul petto un segno circolare bianco, il cui interno era occupato da una stella rossa. Questo indicava il suo ruolo nel Clan: Genin della Guarigione, una guardia medica.

 

«Yura… ho saputo della tua ultima missione… i miei sinceri complimenti.» Era gentile, il tono di voce intimidito e lo sguardo imbarazzato. Lei si chiedeva spesso che cosa ci facesse in quel Clan, ma poi si ricordava della carica che ricopriva. Il ruolo delle guardie mediche non era così complicato, dal momento che queste venivano raramente impiegate in missione. Se succedeva, rimanevano sempre nelle zone sicure. Il loro compito era principalmente quello di curare i feriti, e questo richiedeva già una certa esperienza: era necessario studiare molto sui libri e girare parecchio per i boschi rigogliosi in cerca di erbe mediche e terapeutiche, pi? che darsi alle arti marziali e alle tattiche di battaglia. Certo, qualche tecnica di combattimento e di infiltrazione era necessario apprenderla, ma non sarebbero mai state delle vere e proprie guerriere. Un ninja doveva essere completo e avere basi di conoscenza su tutti gli argomenti pi? importanti ed utili alle missioni: c’era però chi si specializzava nell’assassinio, chi nell’infiltrazione, o chi era moderatamente dotato in tutto.

Yura scese con un balzo dal ramo, atterrando davanti a Cuore Alato.

«Non ? stato nulla. Non voglio ricevere complimenti per queste missioni da due soldi. Il fatto ? che… non mi sento affatto felice, in questo momento» sospirò e chinò la testa verso il basso, con le mani appoggiate ai fianchi e la chioma di fuoco che le si riversò da un lato. Il ragazzo avanzò di un silenzioso passo, sorridendole triste.

«Scusami. Comunque volevo invitarti a fare una passeggiata per Kondo. Io penso che dovresti distrarti un po’…» aggiunse quelle ultime parole con un lieve indugio, senza riuscire a sostenere lo sguardo della ragazza che, severo, gli si puntava contro. Lei in quel mentre capì qualcosa, sorridendo tagliente «Hayate ? stato carino ad inviarti da me con queste premure, ma puoi dirgli che sto bene. So controllarmi, tu e lui non dovete pi? temere le mie sfuriate. Ho deciso che attenderò il momento propizio senza fare di testa mia.»

Cuore Alato deglutì con imbarazzo. Le sue guance si fecero rosse e la sua espressione colpevole. Inarcò le sopracciglia, rispondendole timidamente «Scu… scusami, non ce la faccio a nascondere le evidenze. Però non vuoi proprio venire? A me… a me piacerebbe davvero averti con me… cio? voglio dire, a me piace la tua compagnia perché sei l’unica in grado di capirmi e di spronarmi. Hayate invece ? troppo severo, sai come mi tratta.»

Yura questa volta sorrise benevola, le labbra strette in un taglio sereno. Adorava la sua innocenza, la sua purezza d’animo e quella sorta di dolcezza che lo rendevano indifeso quasi come un bambino, consapevole però che si trattavano di caratteristiche deboli per un ninja. I suoi gesti le facevano tenerezza: il tremolìo delle mani ogni qual volta le si rivolgeva, e lo sguardo sfuggente e imporporito che cercava di non incontrarla. Era rinchiuso in un guscio e in un mondo tutto suo, dove ad essere invitate erano solo poche persone, specie Yura: la sua migliore amica. Diceva di avere vergogna di qualsiasi cosa, per questo alle riunioni non partecipava mai e quando si sentiva interpellato si limitava a poche parole, pensando di poter sbagliare a dire qualcosa. Temeva in modo esagerato di poter fare la figura dell’idiota, di diventare lo zimbello del villaggio e di non essere mai accettato dagli altri. Ma in questo modo era lui stesso ad allontanarsi, isolandosi nei suoi pochi piaceri, come quello per la medicina. Non solo curava, ma era anche in grado di preparare potenti veleni e bombette esplosive con polvere pirica, ottenuta dalle rocce Momba di cui la zona era ricca. Alla fine però il loro utilizzo era sempre destinato ad altri: lui si limitava esclusivamente alla preparazione.

Hayate non sopportava molto questo suo carattere sottile come un filo eccessivamente tirato, questo miscuglio di fragilità che lo rendevano debole alla vita quotidiana. Spesso lo rimproverava con durezza, ma il suo era un modo personale di aiutarlo e di spronarlo. Tentava con insuccesso di aprire in lui una strada basata su certezze, di infondergli coraggio e determinazione. Cuore Alato, però, aveva erroneamente cominciato a credere che il Maestro lo odiasse e dopo i suoi rimproveri si rifugiava sempre da qualche parte, versando lacrime per questo suo carattere immutabile.

 

«Verrò con te lo stesso. Voglio solo che Hayate non si preoccupi più di me, e che la smetta di trattarmi come se fossi sua figlia. La realtà è diversa… lui è il mio maestro ed io vorrei che fosse anche qualcosa di più. Ma non un padre.»

Quelle parole rattristarono Cuore Alato. Non lo diede a vedere, perché volse lo sguardo altrove trattenendo un sospiro. Avrebbe voluto piangere al vento il proprio dolore, sapendo che Yura era innamorata del Jonin del Clan e non di lui. Ma si fece forza e assopì quel miscuglio di sensazioni che gli strinsero per qualche attimo lo stomaco.

«Allora andiamo o si farà buio… sai, a quelle ore girano strani individui e sarei un peso…»

Yura lo superò quando lui iniziò a camminare, prendendo il camminamento a sinistra della torretta. Quando lo fece, batté piano una mano sulla sua spalla «Pi? autostima, ragazzo. E non sottovalutarmi, tengo a bada anche cinque persone contemporaneamente. Forza, andiamo, ho una voglia matta di yaki udon!»

I due filarono spediti. Scesero dai camminamenti gettandosi con un salto nel folto ed atterrarono ai piedi della Sequoia madre. Si dilungarono in un religioso e rispettoso inchino, poi si avviarono verso il sentiero seguendo la strada a memoria. Ormai entrambi erano in grado di destreggiarsi perfettamente nel labirinto di alberi.

 

Dopo essersi liberati degli shozoku ed essersi invece accomodati in pratiche tuniche di tela, giunsero a Kondo nel primo mattino. Una debole luce pallida cominciava a rischiarare il cielo, tingendolo di un colore violaceo molto chiaro. L’aria si fece pi? pungente, tanto che Cuore Alato rabbrividì. Il sentiero che conduceva all’ingresso era costituito da mattonelle bianche, costeggiate sui lati da piccoli alberelli con poche ma sgargianti foglie verdi. Questi si susseguivano a distanze regolari, separati da paletti in pietra a cui erano legati dei cordini.


 

VERSIONE ATTUALE
 

Yura salutò anche loro, e alla fine riconobbe la figura del compagno e amico, Cuore Alato: era un ragazzo abbastanza alto e magro, con occhi e capelli scuri. La sua carnagione lattea dava risalto alle labbra rosse e carnose e la corporatura, per quanto esile, era ben modellata. Era vestito anche lui alla maniera dei ninja, con lo shozoku trattenuto in vita da una cintura e le maniche larghe fino ai gomiti, strette solo sul resto del braccio. Anche i comodi pantaloni si restringevano solo da sotto il ginocchio in giù, finendo all’interno degli stivali tabi, le calzature che dividevano l’alluce dal resto delle dita. A differenza delle altre uniformi, però, la sua portava un segno circolare bianco il cui interno era occupato da una stella rossa. Questo simbolo indicava il suo ruolo nel Clan: un Genin della Guarigione, un guerriero specializzando in medicina, veleni, erbe, unguenti e polveri esplosive. Quando la vide arrivare, Cuore Alato si alzò immediatamente ed esibì un veloce inchino.

«Yura! Che piacere vederti qui» la salutò, gentile come sapeva sempre essere «non eri in missione?»

La ragazza si fermò a pochi passi da lui, guardandolo attenta. Scosse piano il capo ed emise un leggero sospiro.

«È stata conclusa, ma non parliamone adesso. Hayate mi ha detto di riferirti che all'esame delle Reclute di questo pomeriggio ti vuole presente.»

«Co-come?» esclamò titubante «perché?! Non dovrò mica riaffrontarlo» fece con chiara ironia, il tono di voce intimidito e lo sguardo imbarazzato.

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(qui segue una spiegazione sui Guaritori e su Cuore Alato in generale)

 

Una volta accomodati in pratiche tuniche di lino e recuperato un po' di denaro dalla tesoriera, Yura e Cuore Alato giunsero nella città di Kondo nel primo mattino. Una debole luce pallida cominciava a rischiarare il cielo, tingendolo di un colore violaceo molto chiaro e, nonostante la stagione, l’aria si fece più pungente, tanto che Cuore Alato rabbrividì. Il sentiero che conduceva all’ingresso era costituito da mattonelle bianche costeggiate sui lati da piccoli alberelli con sgargianti foglie verdi e che si susseguivano a distanze regolari, separati da paletti in pietra a cui erano stati legati dei cordini di canapa.


 

Insomma... in quest'ultima parte avevo tagliato parecchie cose e cambiato l'ordine di altre (come per esempio il ricordo dell'esilio, dove nella versione attuale appare più tardi rispetto alla prima). E' il capitolo che, rispetto ai successivi cinque, ha subito forse più modifiche. Una delle ragioni della totale eliminazione del dialogo tra Yura e Cuore Alato riguardo Hayate, è l'eccessiva “crudeltà” di Yura. Mi avevano fatto notare che sembrava davvero troppo cattiva nei suoi confronti, sapendo che è innamorato di lei, e quando rilessi il capitolo la trovai abbastanza odiosa. Ecco perché questa parte è sparita del tutto. Del resto, Yura non farebbe mia soffrire Cuore Alato di proposito!

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QUARTO CONFRONTO: CAPITOLO 7 - VOLUME II (Rajaska ci prova con Yura)

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PRIMA VERSIONE

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«No, Rajaska. Non ho bisogno che tu mi cambi le mutande.»
«Muta... muta-che?» osservò senza capire «guarda che intendevo dire di aiutarti a cambiare gli indumenti... non so che hai capito!»
Yura non riuscì a nascondere del tutto il ghigno che cercava ad ogni costo di comparirle sul volto, e che portava in sé l'impulso di scoppiare in una risata. Scosse il capo e declinò con calma.
«Guarda, ti ringrazio davvero, Rajaska, ma non vedo perché dovrei denudarmi davanti a te e farmi rivestire come una bambolina. Che ti prende, ti sei bevuto le cervella per chiedermi una cosa del genere con questa sfacciataggine?!»
«Mpf! Sono pur sempre un Demone, sciocchina rossa, e anche se non ti sembra, cerco di trarre un po' di... diletto dalla situazione. Sei fortunata, perché altri cercherebbero questo “diletto” con la forza...» sibilò avvicinando il volto al suo «se intendi ciò che voglio dire.»
Yura notò bene lo sguardo lascivo di Rajaska che si abbassava verso i propri seni, e avvertì la sua pesante mano iniziare ad accarezzarle una gamba da sopra il leggero lenzuolo, salendo lentamente verso il fianco, che poi cinse sgraziatamente. Questa volta si sentì inaspettatamente arrossire, e contemporaneamente provò un profondo turbamento, una sensazione che non provava da tempo immemore, nemmeno dopo che Kayshan ebbe praticamente fatto la stessa cosa. Mollò istintivamente un cazzotto sul suo grugno, e Rajaska strillò di dolore tenendosi il naso con una mano.
«Non permetterti mai più» lo sgridò, sibilante «senti, Rajaska, mi dispiace tanto se non sai come sfogarti in questo stressante periodo, ma cerca di resistere e di ricordare i motivi per cui sei qui. Se proprio vuoi stare con qualcuno, puoi riprovare con Teregu. In fondo si vede che le piaci. Ah, e se importuni Kira, il prossimo ti arriva direttamente negli attributi. Ma più forte, molto più forte.»
«Che diamine... mi hai fatto male! Ho capito, me ne vado!»
Rajaska si rannicchiò, e con la coda letteralmente tra le gambe si defilò dalla stanza rimanendo incastrato nella porta.

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VERSIONE ATTUALE

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«No, Rajaska. Non ho bisogno che mi cambi le mutande.»

«Muta… muta-che?» osservò senza capire «guarda che intendevo dire di aiutarti a cambiare gli indumenti… non so che hai capito!»

Yura non riuscì a nascondere del tutto il ghigno che cercava ad ogni costo di comparirle sulle labbra, e che portava in sé l'impulso di scoppiare in una risata. Scosse il capo e declinò con calma.

«Guarda, ti ringrazio davvero, Rajaska, ma non vedo perché dovrei denudarmi davanti a te e farmi rivestire come una bambolina. Che ti prende, ti sei bevuto le cervella per chiedermi una cosa del genere con questa sfacciataggine?!»

«Mpf! Lo faccio semplicemente perché mi hanno mandato a sbrigare queste commissioni, sciocchina rossa. E visto che è così umiliante…» sibilò avvicinando il volto al suo «adesso collabori.»

Yura mollò istintivamente un cazzotto sul suo grugno, e Rajaska strillò di dolore, tenendosi il naso con una mano.

«Non osare insistere» lo sgridò, sibilante «senti, Rajaska, mi dispiace tanto se quello che ti fanno fare non è decoroso per un Demone, ma cerca di resistere e di ricordare i motivi per cui sei qui con noi. Se proprio vuoi stare con qualcuno che ti capisca, puoi riprovare con Teregu. In fondo si vede che le piaci. Ah, e se vai a disturbare Kira, il prossimo ti arriva direttamente negli attributi. Ma più forte, molto più forte.»

«Che diamine… mi hai fatto male! Ho capito, me ne vado!»

Rajaska rannicchiò la schiena e, con la coda letteralmente tra le gambe, si defilò dalla stanza rimanendo incastrato nella porta.

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Okay, dopotutto qui ho apportato un seppur minimo cambiamento a un personaggio, in questo caso a Rajaska. Nella prima versione mi sono resa conto che era davvero troppo... porco, per dirla chiaramente. Rajaska è sì scemotto, ma questo atteggiamento voluttuoso con Yura non ci stava proprio. E così, via!

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QUINTO CONFRONTO: CAPITOLO 8 - VOLUME II (Toshida il provocatore infantile)

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PRIMA VERSIONE

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«Mai, mai avrei immaginato di rincontrare uno come te dopo così tanti anni, e soprattutto qui ad Hastlevain. Ti ricordi di me, Toshida?»
Il ragazzotto si sentì preso alla sprovvista.
«Ma di che parli?!» domandò con una smorfia; poi il suo sguardo si fece allibito, e perse sia la parola che la spavalderia. Lo guardava con gli occhi attenti, restando immobile, e solo dopo qualche secondo impallidì del tutto. Sempre più esterrefatto, la sua espressione si mutò in un concentrato di disprezzo e scherno, e questa volta il suo tono si fece fortemente beffardo, unito a un sorrisetto sghembo atto a deriderlo.
«Che il venerabile mi fulmini... sei Satoru» disse ridendo «Satoru Mishima» aggiunse scuotendo il capo, la bocca aperta in un sorrisone incredulo e strafottente. Satoru rimase impassibile, guardandolo a testa alta.
«Già. “Il ciccione-fannullone”, quello che tu e tutti gli altri deridevate in continuazione. Almeno fino a che Kano non vi dette una bella lezione... ricordo ancora i vostri sederi marchiati dalle sue suole su quel precipizio, sai?»
Toshida ringhiò rabbioso e strinse le mani. Satoru ne approfittò per umiliarlo ulteriormente.
«Forse, allora, sembravo davvero un incapace, ma in fondo è sempre meglio un incapace per un giorno che un perdente per tutta la vita. Vita che mi chiedo come abbiate passato tutti voi in questi anni, se crescendo un po' o se continuando a fare la voce grossa soltanto davanti ai più deboli... probabilmente non avete mai avuto davvero il coraggio di affrontarvi con un degno avversario!»
«Cosa ne può sapere, un grassone come te?!» sbraitò l'altro, evidentemente toccato «sei tu che dimostri ottusità, nel credere che una persona non possa essere cambiata dopo così tanto tempo!»
Satoru sollevò le sopracciglia, stupito.
«Accidenti. Sono veramente colpito da tanta saggezza. Hai ragione, Toshida» gli disse con apparente sincerità «sarebbe altrimenti da stupidi comportarsi in modo tanto puerile per tutta la propria esistenza, no? Quindi... visto che mi conosci e che non dovresti avere nessun problema nei miei confronti, rispettami come io rispetterò te. Ho da fare e vorrei rincasare presto.»
Toshida scosse il capo: rivedere Satoru aveva risvegliato in lui un antico rancore verso quel ragazzo che, a pelle, gli era sempre sembrato un soggetto estremamente sciocco, di quelli che si meritano di essere presi di mira perché incapaci di stare al mondo e di adattarsi alle esigenze della società. Inoltre, nutriva ancora un profondo risentimento riguardo quell'episodio in cui Kano -che ricordasse l'unico amico di Satoru- aveva sistemato tutti con un'abilità impressionante. Sollevò il kriss e lo puntò verso il Messaggero.
«No» gli disse. Satoru non si stupì affatto, ma finse di esserlo.
«Come, e perché? Non sei stato tu a ricordarmi che le persone possono cambiare, i rancori essere sedati dal passare del tempo? Non mi dirai che sei capace di comportarti come allora, in cui in fondo eri solo un dodicenne prepotente e viziato.»
Le parole stavano diventando difficili da sostenere e da sopportare, per una testa calda come Toshida. Gli tremava leggermente la mano, e Satoru capì che era un segnale. Si mantenne pronto, lasciando intercorrere attimi carichi di una silenziosa ma pesante tensione, in cui gli sguardi dei due erano in pieno scontro.
«Sarà pure come dici... ma questo non significa che io permetta a un eterno fallito di parlarmi così!»
Come previsto, Toshida reagì con un attacco improvviso. Il tempo sembrava essersi fermato e aver inghiottito nel nulla tutto ciò che li circondava. La mente di Satoru era isolata, la sua concentrazione unicamente dedicata all'avversario, dimentico della missione. Sguainò la ninja-to alle spalle e deviò il colpo, spintonandolo di modo da allontanarlo. Prese così inizio un duello impari, dove il ragazzotto faticava per crearsi un'opportunità con quella piccola arma, la quale ne affrontava una ben più letale, e il cui Vitral ne aveva già danneggiato il filo e spezzato una parte; non era solo questo: Satoru, il ragazzino incapace di allora, si muoveva ora con un'agilità incredibile nonostante la sua robustezza, per non parlare della sua tecnica, degna del miglior guerriero. Si muoveva prontamente, ma allo stesso tempo con una rilassatezza invidiabile. Non poteva credere che fosse veramente il grassone-fannullone che conosceva, e la cosa peggiore era che stava umiliandolo colpo dopo colpo. Satoru parava con facilità, schivava, deviava, giocava di proposito con piccoli attacchi innocui ma chiaramente provocanti. Lui stesso era consapevole di stare adottando un atteggiamento “pericoloso” per la sua situazione, in cui avrebbe dovuto sistemare l'avversario sin da subito e senza spendere nemmeno una parola o una briciola di tempo: i rumori avrebbero potuto attirare altre persone. Invece, non solo si era intrattenuto durante una missione per una questione personale, ma stava persino vendicandosi per quanto subito in un passato che, ormai, non avrebbe più dovuto tangerlo minimamente. Alla fine pensò che potesse bastare, e con una tecnica di presa lo afferrò e lo bloccò dalle spalle, impedendogli di attaccare di nuovo. Con la bocca vicino al suo orecchio e lo sguardo puntato tra le ombre, esercitò una piccola pressione con la spada al suo ventre, che gli passava innanzi orizzontalmente, facendolo rabbrividire.
«Come ci si sente nel sapere che tra poco la propria vita verrà stroncata dal bambino preso di mira da tutti?» gli sussurrò.
Toshida iniziò a balbettare in modo incontrollato, fino a perdere la presa sul kriss ormai inservibile, da tanto gli tremava la mano; Satoru lo intimò a fare più silenzio, spingendo appena la lama.
«Se fai così, ci farai scoprire... non vorrai certo che i tuoi amici ribelli ti vedano in queste condizioni di sottomissione, non è vero? Beh, sei fortunato... ti eviterò la figura dandoti giusto qualche secondo di vita, non appena finirò di parlare... e cioè ora.»
Prima che il Messaggero potesse ultimare quel piccolo contrattempo, il ragazzo lo implorò di non farlo. Le lacrime gli sgorgarono dagli occhi fino a solcargli il viso massiccio, e i suoi pianti furono così disperati che Satoru ne rimase quasi disgustato. Quando lo spinse a terra, l'altro si prostrò ai suoi piedi e lo pregò di non ucciderlo.
«T-ti prego... non farlo! Ora capisco, s-sì... lo vedo, lo so, tu se-sei diventato più forte, non sei più quel bambino di allora! Si tratta del passato, no?» ridacchiò disperato, afferrandogli i pantaloni e guardandolo implorante «sono stato... uno s-stupido, hai ragione, però non merito di morire così, per favore, ti prego...! I-io posso aiutarti... non faccio parte dei ribelli, li sto combattendo, potrei... potrei aiutarti s-su quello che so! Non è molto, ma sono sicuro che ti frutterà di più ciò che posso dirti, invece di un corpo... morto» sibilò con un filo di voce. Satoru lo guardò attento: se stava dicendo il vero, forse la cosa gli sarebbe potuta tornare veramente utile. Doveva interrogarlo, e doveva farlo in un posto sicuro. Prima di rispondergli lasciò correre un istante, istante che pesò come un macigno per quel ragazzo che lo guardava esasperato. Alla fine, Satoru abbassò la lama.
«Rimarrai davanti a me, di modo che non possa mai perderti di vista. Voglio capire se mi stai dicendo il vero o se stai solo cercando un modo per scamparla liscia... magari vendendomi al nemico» considerò con tono di cautela «quindi troveremo un posto tranquillo. Tra le piante laggiù andrà più che bene... muoviti!»
Il ragazzo gli mostrò una gratitudine infinita, e obbedendo a Satoru si fece guidare da lui attraverso il dedalo di foglie nel boschetto lì nei pressi, più simile a un folto e ben curato giardino: era pieno di fiori colorati in grossi vasi tondeggianti e piante dall'elegante disegno, spesso abbarbicate su sottili colonne di piccole dimensioni. Nella vita di tutti i giorni Satoru era certamente un ragazzo buono come il pane, simpatico e anche divertente, ma in missione poteva cambiare atteggiamento e natura in modo quasi irriconoscibile. Così come i suoi compagni, sapeva accantonare lati della propria personalità per adottarne altri e seppur vi fossero momenti in cui capitava di cedere al risentimento -così come gli era appena accaduto- era stato addestrato a detenere un comportamento distaccato e impietoso, insensibile e in un certo senso cinico, in modo da poter avere a che fare con la morte senza cadere in rimorsi e oblii psicologici. Sentirlo parlare in certi modi creava un forte contrasto con la personalità che di solito mostrava nella vita di tutti i giorni. Sapeva anche che, se i suoi famigliari lo avessero sentito, sarebbero rimasti sconvolti. Eliminare dittatori e malvagi per la giustizia non era considerata una cosa particolarmente scandalosa, nel periodo che stavano vivendo: anzi, spesso e soprattutto in politica, era considerata l'unica maniera possibile per ristabilire l'ordine e il benessere generali. In quel caso, però, ciò che stava facendo non era né per motivi di giustizia sociale né per la missione, bensì per qualcosa che lo riguardava nel personale: una mancanza di controllo che avrebbe potuto fruttargli un degrado e un ritorno agli allenamenti basilari con gli Spiriti del Clan, specialmente perché ne era consapevole. Hayate non aveva mai insegnato a uccidere per motivi banali, ma sempre e solo per cause giuste, comprovate e necessarie alla propria sopravvivenza durante una missione.
Quando risalirono gli scogli e si allontanarono dalla costa per proseguire nel boschetto vicino, Satoru lo fece fermare e lo interrogò.
«Allora, per quale ragione ti trovi qui?» gli chiese con la punta della spada puntata al volto.
«Ecco...» Toshida temporeggiò, e Satoru lo scorse roteare gli occhi «sono sbarcato su Hastlevain perché volevo trovare i tesori raccontati nel libro dei miti» spiegò preoccupato, inginocchiato ai piedi dell'altro «così mi sono trovato a Brenya... e con il tempo mi sono abituato al suo stile di vita, per questo sono rimasto. Ti giuro che è così!»
«Dimmi adesso che cosa sai riguardo Sistafio e la resistenza. Bada bene: se menti lo saprò, e non ti lascerò salva la vita» lo redarguì. Toshida deglutì con il terrore negli occhi.
«B-beh... quando è scoppiata la guerriglia ho preso le parti della resistenza di Crestagrigia... ho combattuto la ribellione, ma sono stato catturato. Per sopravvivere ho finto di collaborare con loro come spia» continuò tutto concitato, evidentemente speranzoso del fatto che Satoru gli avrebbe risparmiato la vita «so dove si trova Sistafio... è nascosto nelle caverne della spiaggia.»
«Alla spiaggia?» domandò indicando la costa con un cenno del capo. Toshida annuì ripetutamente.
«Sì! Sì, proprio laggiù! Devi andare lì, se vuoi parlare con lui. Se dici di essere interessato alla ribellione, vedrai che riceverai ospitalità. Ma vorranno sapere da dove vieni... digli che sono stato io a mandarti. Mi conoscono, e credono di potersi fidare di me. Se gli dirai così, le guardie non ti faranno neanche le domande di routine.»
«Ma davvero?» chiese Satoru non ancora convinto,
«Sì, vedrai! Anzi, ho di meglio. Ti potrei accompagnare io, e allora non ci fermeranno nemmeno. Praticamente sono di casa... non hanno alcun sospetto su di me, e non ti creeranno alcun problema. Credimi, non ti sto prendendo in giro! E a dirti la verità, Sistafio sa essere anche molto cortese con chi gli è favorevole. Non ti devi preoccupare, posso farti passare senza problemi. Dico sul serio!»
Satoru notò che Toshida era ancora terrorizzato dalla fine che temeva di poter fare, ed era tutto meno che convinto di quello che gli prometteva. Era eccessivamente accomodante nelle sue parole, faceva troppe promesse e gli dava continue rassicurazioni su cose non richieste, di chi tenta di far passare una situazione pericolosa per una che non lo è. Memorizzò le informazioni che aveva ottenuto da lui e decise di liberarlo, ma solo per finta.
«Sta bene, mi hai convinto. Farò come mi hai detto tu... ma ci andiamo subito.»
«C-cosa, subito? Ma non posso; devo prima avvisare il referente di Sistafio, altrimenti le spie appostate nei dintorni potrebbero colpirti a vista. Capisci, vero?»
Satoru ci avrebbe giurato. Trattenne un sorrisetto ovvio.
«Allora facciamo che per intanto vai subito ad avvisarli, e quando scenderò alle spiagge e ti verrò a cercare, tu mi accompagnerai.»
Toshida annuì di nuovo con veemenza.
«Sei davvero ragionevole, tu! Sei cambiato davvero in meglio... complimenti, Satoru.»
Il Messaggero fece una leggera smorfia, non gradendo per nulla i suoi elogi, che gli suonavano falsi. Rinfoderò la spada e gli indicò l'esterno del boschetto con un altro cenno del capo.
«Vattene. Ma fatti trovare qui, domani notte.»
«Non mancherò» Toshida sorrise e, tutto agitato, si inchinò e sgattaiolò immediatamente fuori con il fiatone. Satoru lo lasciò avanzare di proposito, poi fece ciò che aveva intenzione di fare sin da subito: pedinarlo. Lo seguì per tutto il tragitto in direzione della città bassa, e alla fine lo vide raggiungere i piedi di una colonna affusolata dietro cui troneggiava una montagnola di rocce. Satoru riuscì a nascondercisi in mezzo, e ascoltò Toshida chiamare qualcuno. Dopo alcuni secondi di attesa, un uomo uscì da una specie di nascondiglio, scavato nel tronco di un enorme albero che s'innalzava lì vicino.
«Tosmot! Ma dove sei stato?!»
«Oh, non ci crederesti mai» disse Toshida all'altro, che a quanto pare lo conosceva sotto un nome falso. Il suo tono era profondamente scosso, e continuava a guardarsi intorno come ad assicurarsi che Satoru non lo avesse seguito «sono stato attaccato e catturato! Sono riuscito a liberarmi solo per pura fortuna.»
«Che cosa? Scherzi? E come è successo? Chi è stato, e dove si trova, ora?»
Toshida fece saettare lo sguardo nei dintorni. Ascoltò il silenzio per brevi attimi, poi si avvicinò maggiormente all'altro uomo.
«Puoi stare tranquillo... l'ho depistato. Si trattava di un mio vecchio conoscente, uno stupido» affermò con tono amaro «gli ho fatto credere di essere una spia della ribellione, dicendogli delle baggianate a riguardo... se ne è andato, ma non so che cosa voglia davvero. Sistafio dev'essere avvertito! Credo che Crestagrigia abbia cambiato strategia e stia assoldando dei guerrieri speciali... ho visto come si muoveva! Per una palla di lardo era fuori dal normale. Mi sono imbattuto in lui solo per caso, ma sembrava pericoloso... mi ha quasi ucciso!»
«Addirittura?» l'uomo alzò le sopracciglia «mmh... non gli hai detto nulla di importante, vero? Di Crestagrigia, del Conte o della sede?»
«Certo che no! Gli ho detto che Sistafio si trova nei bassifondi» disse ridendo «se oserà metterci piede, troverà pane per i suoi denti. Per il resto no... non gli ho detto nulla. Non sa della Casa di accoglienza.»
«Va bene, cerca di stare tranquillo, ma anche di fare attenzione. Di sicuro tornerà, ma allerteremo subito la sorveglianza. Ora va' a riferire tutto al vice Pandemonio. Lui allerterà Sistafio e potrà interrogare Crestagrigia. Poi torna alla Casa e restaci senza uscire più.»
Toshida annuì, incerto.
«Ci vediamo alla Casa, allora.»
I due si scambiarono un segno di saluto -segno che, comprese Satoru, si trattava di una caratteristica contraddistinta del gruppo marziale dei ribelli- e fecero per separarsi. Di certo non poteva permettere che il bugiardo Toshida allertasse la ribellione del suo passaggio, e nemmeno l'uomo con cui aveva appena parlato. Camminò calmo e silenzioso attraverso le rocce, e scivolando all'esterno e avendo cura di rimanere sempre in ombra, proseguì furtivamente alle spalle dell'uomo. Una volta raggiunto lo afferrò da dietro, e con una breve mossa lo strozzò rapidamente per mezzo di una garrotta. Toshida non se ne accorse nemmeno: stava dirigendosi verso la città, e prima che potesse adempiere al suo dovere, venne raggiunto dal Messaggero. Quando si trovò in un punto isolato e ideale per l'assassinio, in mezzo ad alcune pire di legno accatastate in numerose file, Satoru uscì dai suoi nascondigli fortuiti e lo sorprese: gli saltò addosso, alle spalle, e lo mantenne bloccato al terreno. A Toshida si gelò il sangue nelle vene, e d'istinto pensò che si trattasse di un demonio. Invece realizzò che si trattava ancora di lui, e l'odore della morte si fece così intenso da fargli capire che non lo avrebbe ancora risparmiato. La paura lo fece persino urinare addosso, e per poco non perse i sensi.
«Ho fatto bene a non fidarmi di te, a quanto pare» disse Satoru al suo orecchio, la lama della spada pronta a recidergli la gola «ma ti ringrazio per le informazioni che hai scambiato con il tuo amico, e che presto raggiungerai. Hai sprecato l'occasione più preziosa della tua vita, Toshida.»
Toshida tentò invano di parlare, e Satoru lo sentì fremere dal panico sotto la sua presa. Aveva i muscoli tesi dalla paura, tremava cercando di opporre resistenza, ma questa volta non gli concedette alcuna pietà. La lama affilata della ninja-to affondò nel collo robusto di Toshida, aprendolo in una pozza rossa e lucida che si riversò velocemente sul terreno. Poi, per evitare che venisse scoperto subito, decise di nascondere il corpo. Quella piccola operazione segnò la fine della sua missione d'esplorazione: in fondo l'incontro con Toshida era servito a qualcosa, perché aveva scoperto ulteriori dettagli importanti e un altro nome, quello di Pandemonio. Da come ne avevano parlato sembrava che questo Pandemonio fosse a diretto contatto con Sistafio e con Crestagrigia, che dunque poté confermare la sua prigionia da parte loro. Ora poteva fare definitivamente ritorno al maniero, soddisfatto di tutto quanto aveva potuto ottenere e non particolarmente preoccupato per le due uccisioni, che agli occhi dei ribelli sarebbero passati per assassini effettuati dalla resistenza o per le vittime delle continue battaglie che, come si evinceva dallo stato in cui era ridotta la città, erano tutt'ora attive in quella medesima area.

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VERSIONE ATTUALE

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«Mai, mai avrei immaginato di rincontrare uno come te dopo così tanti anni, e soprattutto qui, ad Hastlevain. Ti ricordi di me, Toshida?»

Il ragazzotto si sentì preso alla sprovvista.

«Ma di che parli?!» domandò con una smorfia; poi il suo sguardo si fece allibito, e perse sia la parola che la spavalderia. Lo guardava esterrefatto, restando immobile, e solo dopo qualche secondo impallidì del tutto. La sua espressione si alleggerì in un ghigno che al Chunin sembrò beffardo come allora.

«Che il venerabile mi fulmini… sei Satoru» disse ridendo «Satoru Mishima» aggiunse scuotendo il capo, la bocca aperta in un sorrisone incredulo. Satoru rimase impassibile, scrutandolo a testa alta.

«Già. “Il ciccione-fannullone”, quello che tu e tutti gli altri deridevate in continuazione. Almeno fino a che Kano non vi dette una bella lezione… ricordo ancora i vostri sederi marchiati dalle sue suole su quel precipizio, sai?»

Toshida strinse le mani, facendosi improvvisamente serio. Satoru ne approfittò per umiliarlo ulteriormente.

«Forse, allora, sembravo davvero un incapace, ma in fondo è sempre meglio un incapace per un giorno che un perdente per tutta la vita. Vita che mi chiedo come abbiate passato tutti voi in questi anni, se crescendo un po' o se continuando a fare la voce grossa soltanto davanti ai più deboli… probabilmente non avete mai avuto davvero il coraggio di affrontarvi con un degno avversario.»

«Non ti sembra di esagerare?» Toshida non sembrava così toccato dalle sue parole, ma teneva ancora le mani strette «dimostri ottusità nel credere che una persona non possa essere cambiata dopo così tanto tempo.»

Satoru sollevò le sopracciglia, stupito.

«Accidenti. Sono veramente colpito da tanta saggezza. Hai ragione, Toshida» gli disse con apparente sincerità «sarebbe altrimenti da stupidi comportarsi in modo tanto puerile per tutta la propria esistenza, no? Quindi… visto che mi conosci e che non dovresti avere nessun problema nei miei confronti, rispettami come io rispetterò te. Ho da fare e vorrei rincasare presto.»

Toshida scosse il capo: rivedere Satoru aveva risvegliato in lui strane sensazioni verso quel ragazzo che, allora, aveva ritenuto estremamente sciocco e meritevole di essere punito, perché incapace di stare al mondo e di adattarsi alle esigenze della società. Ma si trattava pur sempre del passato, nonostante il Chunin lo facesse sembrare un episodio del giorno prima e, anche se non amava ricordare quella volta in cui Kano -che ricordasse l'unico amico di Satoru- aveva sistemato tutti con un'abilità impressionante, riconosceva che dopotutto se l'erano meritato. Sollevò il kriss e lo puntò verso il Messaggero.

«No» gli disse. Satoru non si stupì affatto, ma finse di esserlo.

«Come, e perché? Non sei stato tu a ricordarmi che le persone possono cambiare, i rancori essere sedati dallo scorrere del tempo? Non mi dirai che sei capace di comportarti come allora, in cui in fondo eri solo un dodicenne prepotente e viziato.»

Le parole stavano diventando difficili da sopportare senza lasciarsi coinvolgere. A Toshida tremava leggermente la mano, e Satoru capì che era un segnale. Si mantenne pronto, lasciando intercorrere attimi carichi di una silenziosa e pesante tensione, in cui gli sguardi dei due sembravano combattersi fra di loro.

«Puoi pensare a quello che ti pare… ma non è per questo che non posso proprio permetterti di andare oltre.»

Come previsto, Toshida reagì con un attacco improvviso. Il tempo sembrava essersi fermato e aver inghiottito nel nulla tutto ciò che li circondava. La mente di Satoru era isolata, la sua concentrazione unicamente dedicata all'avversario, dimentico della missione. Sguainò la ninja-to alle spalle e deviò il colpo, spintonandolo di modo da allontanarlo. Prese così inizio un duello impari, dove il ragazzotto faticava per crearsi un'opportunità con quella piccola arma, la quale ne affrontava una ben più letale, e il cui Vitral ne aveva già danneggiato il filo e spezzato una parte. Non era solo questo: Satoru, il ragazzino incapace di allora, si muoveva adesso con un'agilità incredibile nonostante la sua robustezza, per non parlare della sua tecnica degna del miglior guerriero. Si muoveva prontamente, ma allo stesso tempo con una rilassatezza invidiabile. Non poteva credere che fosse veramente il Satoru che aveva conosciuto, e la cosa peggiore era che stava umiliandolo colpo dopo colpo. Satoru parava con facilità, schivava, deviava, giocava di proposito con piccoli attacchi innocui ma chiaramente provocanti. Lui stesso era consapevole di stare adottando un atteggiamento “pericoloso” per la sua situazione, in cui avrebbe dovuto sistemare l'avversario sin da subito e senza spendere nemmeno una parola o una briciola di tempo, soprattutto perché i rumori avrebbero potuto attirare altre persone. Invece, non solo si stava intrattenendo per una questione personale, ma stava persino vendicandosi per quanto subito in un passato che, ormai, non avrebbe più dovuto tangerlo minimamente. Alla fine pensò che potesse bastare, e con una tecnica di presa lo afferrò e lo bloccò dalle spalle, impedendogli di attaccare di nuovo. Con la bocca vicino al suo orecchio e lo sguardo puntato tra le ombre, esercitò una piccola pressione con la spada al suo ventre, che gli passava innanzi orizzontalmente, facendolo rabbrividire.

«Come ci si sente nel sapere che tra poco la propria vita verrà stroncata dal bambino preso di mira da tutti?» gli sussurrò.

Toshida iniziò a balbettare in modo incontrollato, fino a perdere la presa sul kriss ormai inservibile, da tanto gli tremava la mano. Satoru lo intimò a fare più silenzio, spingendo appena la lama.

«Se fai così ci farai scoprire… non vorrai certo che i tuoi amici ribelli ti vedano in queste condizioni di sottomissione, non è vero? Bé, sei fortunato… ti eviterò la figura dandoti giusto qualche secondo di vita in più.»

Prima che il Messaggero potesse ultimare quel piccolo contrattempo, il ragazzo lo implorò di non farlo. Le lacrime gli sgorgarono dagli occhi fino a solcargli il viso massiccio, e i suoi pianti si resero così sentiti che Satoru ne rimase quasi disgustato. Quando lo spinse a terra, l'altro si prostrò ai suoi piedi e lo pregò di non ucciderlo.

«T-ti prego… non farlo! So bene che non sei più il bambino di allora… ti assicuro che sono cambiato, anche se non so perché ti ostini a credere il contrario. Sono passati almeno dieci anni, no?» disse con una risata nervosa e uno sguardo implorante «da bambino sono stato… uno stupido, hai ragione. Però non merito di essere trattato così. Ho già pagato i miei errori… per favore, ti prego…! Potrei anche aiutarti… non faccio parte dei ribelli, li sto combattendo, potrei… potrei informarti su qualsiasi cosa ti serva! Non è molto, ma sono sicuro che ciò che posso dirti ti frutterà più di un corpo… morto» sibilò con un filo di voce. Satoru lo guardò attento: se stava dicendo il vero, forse la cosa gli sarebbe potuta tornare veramente utile. Però doveva interrogarlo, e doveva farlo in un posto sicuro. Prima di rispondergli lasciò correre un istante, istante che pesò come un macigno per quel ragazzo che lo guardava esasperato. Alla fine, Satoru abbassò la lama.

«Rimarrai davanti a me, di modo che non possa mai perderti di vista. Voglio capire se mi stai dicendo il vero o se stai solo cercando un modo per scamparla liscia… magari vendendomi al nemico» considerò con tono di cautela «quindi, troviamo un posto tranquillo. Tra le piante laggiù andrà più che bene… muoviti!»

Il ragazzo gli mostrò una gratitudine infinita, e obbedendo a Satoru si fece guidare da lui attraverso il dedalo di foglie nel boschetto lì nei pressi, più simile a un folto e ben curato giardino: era pieno di fiori colorati in grossi vasi tondeggianti e piante dall'elegante disegno, spesso abbarbicate su sottili colonne di piccole dimensioni. Nella vita di tutti i giorni Satoru era certamente un ragazzo buono come il pane, simpatico e anche divertente, ma in missione riusciva a cambiare atteggiamento e natura in modo quasi irriconoscibile. Così come i suoi compagni, sapeva accantonare i lati della propria personalità per adottarne altri e, seppur vi fossero momenti in cui capitava di cedere al risentimento -così come gli era appena accaduto-, era stato addestrato a detenere un comportamento distaccato e impietoso, insensibile e in un certo senso cinico, in modo da poter avere a che fare con la morte senza cadere in rimorsi e oblii psicologici. Sentirlo parlare in certi modi creava un forte contrasto con la personalità che di solito mostrava nella vita di tutti i giorni. Sapeva anche che, se i suoi famigliari lo avessero sentito, sarebbero rimasti sconvolti. Nel periodo che stavano vivendo, eliminare i malvagi per la giustizia non era considerata una cosa particolarmente scandalosa, anzi, spesso era considerata l'unica maniera possibile per ristabilire l'ordine e il benessere generali. In quel caso, però, ciò che stava facendo non era né per motivi di giustizia sociale né per la missione, bensì per qualcosa che lo riguardava nel personale: una mancanza di controllo che avrebbe potuto avere conseguenze sul suo ruolo, specialmente perché ne era consapevole. Hayate non aveva mai insegnato a uccidere con leggerezza e per motivi banali, ma sempre e solo per cause giuste, comprovate e necessarie alla propria sopravvivenza durante una missione.

Quando risalirono gli scogli e si allontanarono dalla costa per proseguire nel boschetto vicino, Satoru lo fece fermare e lo interrogò.

«Allora, per quale ragione ti trovi qui?» gli chiese con la punta della spada puntata al volto.

«Ecco…» Toshida temporeggiò, e Satoru lo scorse roteare gli occhi «per arricchirmi. Sono sbarcato su Hastlevain perché volevo trovare i tesori che si raccontano nei miti» spiegò preoccupato, inginocchiato ai piedi dell'altro «così mi sono trovato a Brenya… e con il tempo mi sono abituato al suo stile di vita, per questo sono rimasto. Ti giuro che è così!»

«Dimmi adesso che cosa sai riguardo Sistafio e la resistenza. Bada bene: se menti lo saprò, e non ti lascerò salva la vita» lo redarguì. Toshida deglutì con il terrore negli occhi.

«B-beh… quando è scoppiata la guerriglia ho preso le parti della resistenza di Crestagrigia… ho combattuto la ribellione, ma sono stato catturato. Per sopravvivere ho finto di collaborare con loro come spia» continuò tutto concitato, evidentemente speranzoso del fatto che Satoru gli avrebbe risparmiato la vita «so dove si trova Sistafio… è nascosto nelle caverne della spiaggia.»

«Alla spiaggia?» domandò indicando la costa con un cenno del capo. Toshida annuì ripetutamente.

«Sì! Sì, proprio laggiù! Devi andare lì, se vuoi parlare con lui. Se dici di essere interessato alla ribellione, vedrai che riceverai ospitalità. Ma vorranno sapere da dove vieni… digli che sono stato io a mandarti. Mi conoscono, e credono di potersi fidare di me. Se gli dirai così, le guardie non ti faranno neanche le domande di routine.»

«Ma davvero?» chiese Satoru non ancora convinto,

«Sì, vedrai! Anzi, ho di meglio. Ti potrei accompagnare io, e allora non ci fermeranno nemmeno. Praticamente sono di casa… non hanno alcun sospetto su di me, e non ti creeranno alcun problema. Credimi, non ti sto prendendo in giro! E a dirti la verità, Sistafio sa essere anche molto cortese con chi gli è favorevole. Non ti devi preoccupare, posso farti passare senza problemi. Dico sul serio! Ti aiuterò!»

Satoru notò che Toshida era ancora terrorizzato dalla fine che temeva di poter fare, ed era tutto meno che convinto di ciò che gli prometteva. Nelle sue parole era eccessivamente accomodante, faceva troppe promesse e gli dava continue rassicurazioni su cose non richieste, come di chi tenta di far passare una situazione pericolosa per una che non lo è. Memorizzò le informazioni che aveva ottenuto da lui e decise di liberarlo, ma solo per finta.

«Sta bene, mi hai convinto. Farò come mi hai detto tu… ma ci andiamo subito.»

«S-subito? Ma non posso; devo prima avvisare il referente di Sistafio, altrimenti le spie appostate nei dintorni potrebbero colpirti a vista pensando che mi tieni prigioniero. Capisci, vero?»

Satoru ci avrebbe giurato. Trattenne un sorrisetto ovvio.

«Allora facciamo che per intanto vai subito ad avvisarli, e quando scenderò alle spiagge mi accompagnerai.»

Toshida annuì di nuovo con veemenza.

«Sei davvero ragionevole, tu! Sei cambiato in meglio… complimenti, Satoru.»

Il Messaggero fece una leggera smorfia, non gradendo per nulla i suoi elogi, che suonavano falsi come l'oro di un truffatore. Rinfoderò la spada e gli indicò l'esterno del boschetto con un altro cenno del capo.

«Vattene. Ma fatti trovare qui domani notte.»

«Non mancherò» Toshida sorrise e, tutto agitato, si inchinò e sgattaiolò immediatamente con il fiatone. Satoru lo lasciò avanzare di proposito, poi fece ciò che aveva intenzione di fare sin da subito: pedinarlo. Lo seguì per tutto il tragitto in direzione della città bassa, e alla fine lo vide raggiungere i piedi di una colonna affusolata dietro cui troneggiava una montagnola di rocce. Satoru riuscì a nascondercisi in mezzo, sentendo Toshida chiamare qualcuno. Dopo alcuni secondi di attesa, un uomo uscì da una specie di nascondiglio, scavato nel tronco di un enorme albero che s'innalzava lì vicino.

«Tosmot! Ma dove sei stato?!»

«Oh, non ci crederesti mai» disse Toshida all'altro, che a quanto pare lo conosceva sotto a un nome falso. Il suo tono era profondamente scosso, e continuava a guardarsi intorno come ad accertarsi che Satoru non lo avesse seguito «sono stato attaccato e catturato! Sono riuscito a liberarmi solo per pura fortuna.»

«Che cosa? Scherzi? E come è successo?»

Toshida fece saettare lo sguardo nei dintorni. Ascoltò il silenzio per brevi attimi, poi si avvicinò maggiormente all'altro uomo.

«Puoi stare tranquillo… l'ho depistato. Si trattava di un mio vecchio conoscente» affermò con tono amaro «gli ho fatto credere di essere una spia della ribellione, dicendogli delle baggianate a riguardo… se ne è andato, ma non so che cosa voglia davvero. Sistafio dev'essere subito avvertito! Credo che Crestagrigia abbia cambiato strategia e stia assoldando dei guerrieri speciali… ho visto come si muoveva! Mi sono imbattuto in lui solo per caso, ma sembrava pericoloso… mi ha quasi ucciso!»

«Addirittura?» l'uomo alzò le sopracciglia «mmh… non gli hai detto nulla di importante, vero? Di Crestagrigia, del Conte o della sede?»

«Certo che no! Gli ho detto che Sistafio si trova nei bassifondi» disse ridendo «se oserà metterci piede, troverà pane per i suoi denti. Per il resto, no… non gli ho detto nulla. Non sa della Casa di accoglienza.»

«Va bene, cerca di stare tranquillo, ma anche di fare attenzione. Di sicuro tornerà, ma allerteremo subito la sorveglianza. Ora va' a riferire tutto al vice Pandemonio. Lui allerterà Sistafio e potrà interrogare Crestagrigia. Poi torna alla Casa e restaci.»

Toshida annuì, incerto.

«Ci vediamo alla Casa, allora.»

I due si scambiarono un segno di saluto -segno che, comprese Satoru, si trattava di una caratteristica contraddistinta del gruppo marziale dei ribelli- e fecero per separarsi. Di certo non poteva permettere che il bugiardo Toshida allertasse la ribellione del suo passaggio, e nemmeno che lo facesse l'uomo con cui aveva appena parlato. Camminò calmo e silenzioso attraverso le rocce e, scivolando all'esterno e avendo cura di rimanere sempre in ombra, proseguì furtivamente alle spalle dell'uomo. Una volta raggiunto lo afferrò da dietro e, con una breve mossa, lo strozzò rapidamente per mezzo di una garrotta. Toshida non se ne accorse nemmeno: stava dirigendosi verso la città, ma prima che potesse adempiere al suo dovere il Messaggero lo raggiunse. Quando si trovò in un punto isolato e ideale per l'assassinio, in mezzo ad alcune pire di legno accatastate in numerose file, Satoru uscì dai suoi nascondigli fortuiti e lo sorprese: gli saltò addosso, alle spalle, e lo mantenne bloccato al terreno. A Toshida si gelò il sangue nelle vene, e d'istinto pensò che si trattasse di un demonio. Invece realizzò che si trattava ancora di lui, e l'odore della morte si fece così intenso da fargli capire che non lo avrebbe ancora risparmiato. La paura lo fece persino urinare addosso, e per poco non perse i sensi.

«Ho fatto bene a non fidarmi di te, a quanto pare» disse Satoru al suo orecchio, la lama della spada pronta a recidergli la gola «ma ti ringrazio per le informazioni che hai scambiato con il tuo amico, e che presto raggiungerai. Hai sprecato l'occasione più preziosa della tua vita, Toshida.»

Toshida tentò invano di parlare, e Satoru lo sentì fremere dal panico sotto la sua presa. Aveva i muscoli tesi dalla paura, tremava cercando di opporre resistenza, ma questa volta non gli concedette alcuna pietà. La lama affilata della ninja-to affondò creando velocemente una pozza rossa e lucida sul terreno. Poi, per evitare che venisse scoperto subito, nascose il corpo. Quella piccola operazione segnò la fine della sua missione d'esplorazione: in fondo l'incontro con Toshida era servito a qualcosa, perché aveva scoperto ulteriori dettagli importanti e un altro nome, quello di Pandemonio. Da come ne avevano parlato sembrava che questo Pandemonio fosse a diretto contatto con Sistafio e Crestagrigia, confermando così la sua prigionia da parte loro. Ora poteva fare definitivamente ritorno al maniero, soddisfatto di tutto quanto aveva potuto ottenere e non particolarmente preoccupato per le due uccisioni, che agli occhi dei ribelli sarebbero passati per assassini attuati dalla resistenza o vittime delle continue battaglie che, come si evinceva dai rumori lontani o dallo stato in cui era ridotta la città, erano attive in quella medesima area.

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Forse era un po' lungo, ma l'ho comunque ritenuto un cambiamento piuttosto importante. L'impostazione della prima versione vedeva infatti Toshida provocare Satoru in continuazione. Aveva un atteggiamento davvero presuntuoso e infantile, visto che dimostrava di non essere maturato per niente negli anni, e questo poteva in qualche modo giustificare una reazione da parte di Satoru. Più avanti, però, mi sono accorta che questo rischiava di diventare un po' un problema per i capitoli successivi, ossia non forniva i giusti elementi per giustificare altre determinate cose che hanno riguardato Satoru successivamente a quell'evento. Ecco perché nella versione attuale è Satoru ad essere il provocatore, a sbagliare cedendo chiaramente a un risentimento che non è stato in grado di domare. Satoru doveva sbagliare, e non doveva essere "giustificabile". Questo infatti ha fornito motivi più che sufficienti perché Hayate decidesse di degradarlo.

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SESTO CONFRONTO: CAPITOLO 10 - VOLUME II (Azlath'li il lussurioso

(Attenzione: contenuto esplicito!)

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PRIMA VERSIONE

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Azlath'li si lasciò andare a un intenso gemito quando si spinse con decisione contro il corpo della donna sotto di lui, e Kira sentì quasi dolore. Aveva il suo peso corporeo completamente addossato: lui non era certo tipo da preoccuparsi di poterle fare del male. Voleva semplicemente godere per se stesso, farlo con quel ruolo da padrone e dominatore.
«Selvea, spogliati... rimani nuda per me» le ringhiò nell'orecchio mentre con furia cercava disperatamente di strapparle i vestiti di dosso. Selvea si mostrò fintamente spaventata.
«M-mio signore...?!»
«Fallo, Selvea, fallo! Non temere, non ti farò del male... io ti voglio! Fammi vedere la tua debolezza... fammi vedere il tuo corpo menomato!»
Il piacere dell'Elner era in un certo senso crudele. Il difetto di Kira era per lui motivo di estremo diletto. Se si fosse trattato dell'ufficiale Seralith sarebbe stato perfetto, e si chiese se sarebbe riuscita a ricreare lo stesso desiderio in lui, una volta avvicinato.
«Ooohhhh, ssssì» Azlath'li sgranò gli occhi e sembrò impazzire quando Selvea si aprì gli abiti; l'Elner afferrò il suo seno con forza usando entrambe le mani, schiacciandolo senza ritegno. La giovane chiuse con forza gli occhi e giocò il ruolo dell'inerme che subiva impotente, ma che al contempo ne traeva un lieve piacere. Sentiva chiaramente il suo diletto nel vederla così, in quelle condizioni tra sofferenza e desiderio.
«Ti piace, eh? Ti piace questo, ammettilo» le disse sibilante, avvicinando il volto al suo e iniziando a leccarglielo voracemente. Quando le raggiunse il collo iniziò a suggerlo avidamente e a lasciarle evidenti segni. Kira continuava a stringere gli occhi ed emetteva piccoli lamenti, e ognuno di essi istillava sempre più goduria nell'Elfo Nero. Lo sentiva fremere, e continuò così finché le sue labbra non scesero lungo il suo corpo, tenendola inchiodata sulla scrivania con le mani. Poi la spinse ulteriormente, facendola accostare del tutto: lui rimase in piedi, di fronte a lei, continuando a spogliarla con impeto. Le strappò i vestiti e la mise sempre nel ruolo più passivo e sottomesso possibile: la schiacciava, la bloccava, la girava tenendole la testa giù, la faceva inginocchiare e la obbligava a subire quello che a lei parve più una tortura. Lui adorava vederla di fronte senza che potesse muoversi, e quando snudò la menomazione trasse ancora più vigore. Le saggiò il moncherino persino con la lingua, e la posizionò di modo che il difetto fosse ben visibile, sul fianco sinistro con il braccio sano schiacciato sotto di lei. Azlath'li era del tutto indelicato e assolutamente vinto dalla foga. Si muoveva forte, i suoi erano atteggiamenti potenti e sentiti che le facevano male. Quando la mise supina, Kira vide quest'incredibile Elner che, nonostante la sua stazza, era una vera furia. I suoi muscoli nervosi erano pieni di forza che la costringevano a subire, i suoi movimenti erano sempre più forti e veloci, e sembrava poter resistere senza mai stancarsi. Kira, che si sentiva mozzare il fiato per il peso dell'Elner sul suo petto, considerò che da quando aveva lasciato le cucine doveva essere già passata un'ora, e sperò che il tutto non continuasse ancora per molto. Tuttavia l'ora di tortura divenne un'ora e mezzo, e l'Elner non sembrava dell'idea di voler concludere. Solo dopo ancora alcuni minuti le disse finalmente ciò che stava aspettando di più.
«Voglio concludere. Inginocchiati.»
Lei strinse gli occhi per il dolore, ma non appena fu liberata provò immediatamente un po' di sollievo. Alzò gli occhi su di lui e si inginocchiò. Azlath'li s'impose innanzi a lei e le prese la testa.
«Fallo» le ordinò con la voce rotta dall'ebbrezza. Kira si mise a mugolare.
«M-ma io...»
«Fallo...» le intimò di nuovo, il tono flebile ma al contempo deciso, tanto che ella sentì la sua mano arpionarle con forza i capelli e spingerle il capo in avanti. La Kunoichi strinse gli occhi e lo fece nel modo più impacciato e restio possibile, e la cosa sembrò farlo divertire ancora di più: buttò indietro la testa e si mise a ridere.
“Fa' che finisca, ti prego...” pregò mentalmente la ragazza, che non ne poteva più. Ma dovette attendere un altro quarto d'ora prima di sentire Azlath'li emettere un verso disumano. A quel punto simulò più conati di vomito, che fecero sorridere Azlath'li.
«Ti abituerai, Selvea, se avrai voglia di fare carriera velocemente.»
Kira si pulì la faccia con una salvietta, rimanendo seduta per terra. Azlath'li invece si rivestì con aria evidentemente molto soddisfatta.

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VERSIONE ATTUALE

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Azlath'li si spinse con decisione contro il corpo della giovane donna sotto di lui, facendole quasi sentire dolore, ma non era certo tipo da preoccuparsene. Voleva semplicemente godere per se stesso, farlo con quel ruolo da dominatore sulla sua debole preda.

«Selvea, spogliati… rimani nuda per me» le ringhiò nell'orecchio mentre cercava disperatamente di strapparle i vestiti di dosso. Selvea era spaventata.

«M-mio signore…?!»

«Fallo, Selvea, fallo! Non temere, non ti farò del male… io ti voglio! Fammi vedere la tua debolezza… fammi vedere il tuo corpo menomato!»

Il piacere dell'Elner era in un certo senso crudele. Il difetto di Kira era per lui motivo di estremo diletto. Se si fosse trattato dell'ufficiale Seralith sarebbe stato perfetto, e si chiese se sarebbe riuscita a ricreare lo stesso desiderio in lui, una volta avvicinato.

«Ooohhhh, ssssì» Azlath'li sgranò gli occhi: sembrò impazzire quando Selvea si aprì gli abiti, e quando snudò la menomazione trasse ancora più vigore. Le baciò il moncherino e la posizionò di modo che il difetto fosse ben visibile, sul fianco sinistro con il braccio sano schiacciato sotto di lei. Da quel momento iniziò per lei un lento incubo. Azlath'li era del tutto indelicato e assolutamente vinto dalla foga e, nonostante la sua stazza, era una vera furia. I suoi muscoli nervosi erano pieni di una forza che le impedivano qualsiasi reazione, e sembrava poter resistere senza mai stancarsi. Kira, che si sentiva mozzare il fiato per il peso dell'Elner, considerò che, da quando aveva lasciato le cucine, doveva essere già passata un'ora e sperò che il tutto non continuasse ancora per molto. Alla fine, Azlath'li si degnò di lasciarla finalmente libera solo dopo un'altra buona mezz'ora. Era disgustata e sentiva dolore dappertutto.

«Ti abituerai, Selvea, se avrai voglia di fare carriera velocemente» le disse allontanandosi. Kira si coprì e abbassò la testa, rimanendo seduta per terra.

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In questo caso trovavo la versione precedente eccessivamente volgare. Sono contenta di averla resa più leggera... volevo sì che fosse evidente la foga depravata e animale di Azlath'li, però non era il caso di illustrare per filo e per segno ogni cosa, dato che Hastlevain non è un porno.

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SETTIMO CONFRONTO: CAPITOLO 6 - VOLUME II (Mellon e la sua apparente morte)

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PRIMA VERSIONE

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Le parole di Haruka rimbombarono nella testa di Mahton quando vide la figura alle spalle di Irke avanzare con calma innaturale. Gli occhi bassi e malvagi, il volto serio e bianco, i capelli corti e biondi... Mellon era di fronte a lui, viva, in carne ed ossa. Diversa.

Proprio in quel momento, il Chunin che era rimasto in ambulatorio spalancò la porta ed uscì praticamente senza fiato.

«Hutago! Hutago!» chiamò in panico, avvicinandosi a Mahton «il corpo di Mellon! E'... è svanito in una massa di fum...»

Quando anche il Chunin vide la ragazzina di fronte, perse la parola: nemmeno Mahton sapeva che dire e rimase a guardarla in un cozzare di sentimenti che gli tolsero il fiato. Ci pensò Haruka a smorzare il silenzio.

«Oh, chiedo scusa per la sorpresa. Davvero non l'avevate capito?» disse con un sogghigno strafottente «certo che no, voi non ne sapete nulla di magia! Beh', avevo pensato che se non l'aveste trovata sareste venuti a cercarla fino a noi, e non era davvero il caso... oltretutto, il ritrovarla sarebbe dovuto servire ad abbassare la vostra guardia, e a quanto pare così è stato! Questa volta, passare nella Stella del Bosco è stato un giochetto da ragazzi... ma perché hai quella faccia, Hutago? Non dovresti essere felice di rivedere la tua ex-allieva viva e vegeta?»

Sì, forse avrebbe dovuto essere felice del fatto che non fosse morta, ma capiva ancor di più che Mellon li aveva ingannati, e che il cadavere che avevano rinvenuto non era altro che frutto di una magia proibita.

«Mellon... e così hai fatto la tua scelta. Sai che cosa comporta, vero?»

Le labbra della giovane assunsero una smorfietta supponente, e finalmente parlò.

«Che importanza ha? Questa mia scelta mi porterà ad ottenere subito quei risultati che voi mi avete sempre negato sulla base di stupide tradizioni senza senso. Onestamente, il pensiero di avere gli Yuurei alle costole non mi fa rabbrividire nemmeno un po'» ammise ridacchiando «tutt'altro. Sarà divertente vanificare ogni vostro attacco con la magia e sperimentare proprio su di voi le mie potenzialità.»

«Magia? E dove sono le arti marziali che ti abbiamo insegnato, Mellon? Sei soltanto mossa dal raggiungere un obiettivo il prima possibile. Non ne hai passione, né lo coltivi... sei solo una bambina che desidera un giocattolo» Mahton non poteva credere a ciò che le sue orecchie avevano appena udito: la ragazza era stata completamente soggiogata dalla lingua perversa di Haruka, e parlava esattamente come lui «volevi diventare una ninja, un Chunin delle Ombre, non una strega da strapazzo... la magia proibita causerà delle catastrofi, e sarà più divertente per me che per voi cercare di capire su che cosa dominerete, quando per colpa vostra non vi sarà più nulla!»

«Che esagerato» intervenne il Jonin «quando ciò accadrà, noi saremo già al fianco dell'Empio. Ma non è tempo per parlare di questo... ora, se Mellon vuole procedere...» l'uomo fece un cenno accomodante alla ragazzina, e questa sollevò il nasino per aria. Rimanendo appena dietro ad Irke, che ancora non si poteva muovere, sollevò una mano e si concentrò, creando nere spire tra le dita aperte come le zampe di un ragno. La mano prese a tremare leggermente, ed il gioiello che portava al collo iniziò a pulsare sempre più visibilmente. Mahton deglutì un nodo in gola e, con l'arma sfoderata, assunse una posizione d'attacco.

«Ti avverto, Mellon! Se proverai a fare qualcosa a mio figlio, non esiterò un solo istante e ti staccherò la testa dal collo!»

«E io te lo ripeto, vecchio» sputò con maleducazione «le tue minacce non mi toccano. Ti sorprenderesti nel vedere i progressi che ho ottenuto in questo breve tempo grazie alla continua e costante presenza del mio Jonin. Per esempio... questa magia serve ad inibire qualsiasi funzione motoria, ed alcune cerebrali. Perché scomodarsi a preparare veleni e faticare tanto per utilizzarli quando esistono metodi più veloci e diretti che danno lo stesso risultato, se non addirittura migliore? Il Veleno dell'Arcobianco, pianta che cresce sulle montagne, se distillato e poi fatto bere paralizza i polmoni... invece, a me, basta concentrarmi e attendere solo qualche istante per provocare la stessa cosa.»

La mano di Mellon si chiuse di colpo, ed Irke congiunse entrambe le mani alla gola mentre il suo incarnato assunse rapidamente una tonalità bluastra; la sua bocca, spalancata, emise sibili e rantoli soffocati come di chi non riesce più a respirare. Si contorse al suolo, preda di convulsioni incontrollate, ed un sorriso maligno accendeva lo sguardo di Mellon mentre osservava Mahton preda di una collera che non riuscì a trattenere oltre. Agì d'impulso e senza riflettere su come poter attaccare o difendersi dalla magia proibita, scattando in un attacco che poteva sorprendere per agilità. Tuttavia, Mellon non era di certo impreparata e così si sentì improvvisamente come se ai piedi stesse portando due pesi enormi. Mellon, con l'altra mano, controllava la magia che aveva appena tessuto su di lui, eseguendo movimenti arcaici fluidi, bloccandolo lì al suo posto. Mahton ringhiò tutta la sua frustrazione, provando una sofferenza inaudita mentre veniva obbligato a vedere suo figlio Irke nella morsa della magia proibita.

«Lascialo andare subito!» gridò di nuovo. La ragazzina lo guardava con occhi indemoniati, e sembrava non udire le parole disperate dell'uomo. Continuò a concentrare le sue energie sull'incantesimo di morte e su quello che lo teneva bloccato, e i rantoli disumani di Irke si fecero mano a mano sempre più bassi. Aveva gli occhi gonfi, la sua pelle era blu. Si contorse per qualche altro istante, finché dopo una lunga agonia il suo corpo non si mosse più. Mahton credeva che Mellon lo avesse liberato, e non appena sentì che anche l'incanto che lo aveva bloccato fino a quel momento svanì all'improvviso, accorse al figlio senza che gliene importasse alcunché delle Ombre Arcane e del villaggio. Accolse Irke tra le braccia, solo per scoprire la terribile verità: era morto. Il suo volto ancora piegato tra le sofferenze della tortura si era impallidito, ed il suo cuore non batteva più. Mahton, tra le lacrime che iniziarono a scorrergli sul viso, provò ad esercitare alcune manovre per tentare di rianimarlo, ma furono del tutto inefficaci. Irke continuava a giacere inerme, con gli occhi socchiusi e vuoti. Non rispondeva, se ne stava molle ed immobile con il volto rivolto al cielo e al sole pallido che brillava in alto. Pochi istanti prima era lì, in piedi di fronte a lui, alto e fiero, in perfetta salute e, nel giro di pochi minuti, era morto. Mahton aveva perso tante persone care durante la sua vita, ma mai un figlio. Quel dolore che iniziò a farsi strada nel suo cuore era nuovo ed orribile, e si chiese perché proprio lui. Perché non lui stesso? Dai suoi occhi le lacrime non terminavano di sgorgare, aveva il volto affondato nella sua spalla e lo teneva forte, stretto a sé. Haruka si compiacque del lavoretto di Mellon, e con indelicatezza sputò sopra il cadavere di Irke.

«Ha ricevuto ciò che meritava, vecchio! Ed ora, toccherà anche a tutti voi...»

L'Hutago lo guardò con due occhi che parevano braci ardenti. L'irragionevolezza gli diceva perfettamente che cosa fare, ma questa volta non fece lo stesso errore: non aveva semplicemente possibilità. L'unica cosa su cui lui e i suoi ninja vincevano erano le tecniche generali di ninjutsu, non la magia. Raccolse sulle spalle il corpo di Irke e, con uno scatto fulmineo, prese a correre nel villaggio.

«Fuggite! Abbandonate il villaggio, tutti quanti!»

Haruka iniziò a ridere, come se trovasse il tentativo dell'uomo piuttosto ridicolo. Mellon era già sul punto di fermarlo, quando d'improvviso qualcosa non la colpì, ferendole la schiena. Si voltò e vide il Chunin di poco fa che, cogliendola di sorpresa, l'aveva attaccata alle spalle. Haruka lo stava tenendo bloccato con una mano nera plasmata ed allungata dal suo palmo.

«Ancora non sei completa, e devi guardarti le spalle...» l'uomo controllò i movimenti della mano nera, e perforò il petto del ninja fino a tirargli fuori il cuore ancora pulsante. Mellon tossì sputando del sangue, rannicchiata al suolo con un'espressione di odio stampata sul volto. Nonostante fosse una ninja anche lei, non era riuscita a percepire la presenza e ciò l'aveva fatta sentire umiliata. Haruka l'aiutò ad alzarsi, poi con i suoi ninja iniziò a disseminare distruzione e morte in tutto il villaggio. Molti Yuurei erano comunque riusciti a fuggire o a nascondersi, e Mahton li aveva guidati al di fuori del bosco. Ormai non era più un luogo sicuro, e dovevano trovarne un altro. Mentre risaliva il dedalo di camminamenti nella Stella del Bosco per avvisare tutti i ninja di vedetta, vide le Ombre Arcane che stavano ritirandosi. Poi, intravide Haruka soffermarsi con Mellon e con un altro dei suoi ninja. Decise di spiarlo nascondendosi tra le folte fronde e, quando il ninja misterioso si tolse la maschera, con sgomento notò che si trattava di un volto familiare.

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VERSIONE ATTUALE

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(...) Mahton però guardava ancora più in fondo, oltre la figura in lenta avanzata, dove riusciva a scorgere alcuni dei suoi ninja che stavano combattendo contro qualcuno. Le urla che giungevano lo fecero rabbrividire, e oltre a capire che erano sotto attacco intese subito che non stavano avendo la meglio.

«Haruka» sibilò in un rantolo a denti stretti, stringendo i pugni. La vagonata di emozioni che provò tutto d'un colpo lo scossero con un intenso tremore, e il Jonin delle Ombre Arcane lo osservò con divertimento. Avanzava impettito e spavaldo, le mani infilate nelle tasche del suo shozoku e il volto libero dalla solita maschera.

«Simpatico il vostro villaggio, caro il mio vecchio Mahton! Ma mi sembri un po' spaventato… a dire il vero, lo sembrano anche i tuoi ninja. Un po' codardi lo sono, non trovi?»

«Sei tu il codardo, Haruka!» gridò di rimando, giurando che, se avesse potuto, lo avrebbe divorato dalla rabbia «se vuoi dimostrare il contrario, combattimi senza la magia!»

Il Jonin rise di gusto, sollevando l'antipatico volto verso il cielo. I suoi occhi si chiusero ridenti, poi tornò a fissarlo appoggiandosi le dita sulle labbra.

«Come sei noioso, Mahton… devo sempre ripeterti le stesse cose? Quando imparerai ad apprezzare l'evoluzione del ninjutsu? Ciò che mi chiedi di fare è impensabile… noi, come praticanti dell'arte più pura, agiamo semplicemente abbracciando il mezzo più idoneo al nostro scopo, proprio come ogni ninja dovrebbe fare. Perché mai la magia non potrebbe prestarsi a ciò? La pensiamo alla stessa maniera, in fondo, io lo so… differenziamo solo nel modo di concretizzare questo pensiero. Voi Yuurei siete rimasti all'età della pietra… ma il mondo si evolve, e quello di oggi parla di magia. Noi siamo evoluti, voi siete sorpassati e prevedibili. Per questo vi abbiamo distrutto una volta, e possiamo farlo di nuovo. Infatti, lo faremo oggi stesso!»

«Ti assicuro che l'evoluzione moderna non è sempre un bene su tutto, Haruka» sibilò lo Yuurei «ci sono cose che devono rimanere tali e quali nel tempo, equilibri che non vanno toccati. Ci evolveremo quando le nostre tecniche perderanno di efficacia, quando nuove armi ed armature ci impediranno di agire come abbiamo sempre fatto; ma la magia, soprattutto quella proibita, non contempla l'arte marziale! Turba l'equilibrio e sfrutta capacità totalmente slegate dalle abilità fisiche di ognuno di noi. I ninja delle Ombre Arcane, tu stesso, Haruka… siete solamente dei meri stregoni che stanno prosciugando le nostre terre!»

Il volto del Jonin si deformò in un'espressione di rancore, ma la sua collera si palesò in modo indiretto quando fece avanzare la figura dietro di lui.

«Sei proprio cieco, Mahton… e il concetto di proibito è così piccolo, nel tuo striminzito cervello, da farmi venire le ortiche alle mani. Vuoi una dimostrazione della veridicità delle mie parole, vero? Forse ti convincerai» disse prendendo una pausa e invitando la figura alle sue spalle ad avanzare «vieni avanti, Irke…»

Con sgomento, l'Hutago osservò la figura di suo figlio avanzare mentre veniva spintonato da un'altra persona dietro di lui, e che ancora non poteva distinguere. Il ragazzo guardò il padre con occhi pieni di terrore, incapace sia di parlare che di muoversi da solo: era come manovrato.

«Irke!» gridò sfoderando il coltello che portava al fianco «lascia andare mio figlio, maledetto bastardo!»

«Oh, non devi chiederlo a me… tutto dipende dal mio nuovo pupillo…»

Le parole di Haruka rimbombarono nella testa di Mahton quando vide la persona alle spalle di Irke avanzare con calma innaturale. La sua statura era piccola, il capo avvolto da uno stretto cappuccio a punta e una maschera di colore nero al volto, esattamente come la veste. Al collo, invece, portava un ciondolo con una gemma rosata che illuminava appena.

Haruka dipinse un sorriso sghembo.

«Vi presento Kagebara: la Rosa d'Ombra. Vi offrirà un esempio più preciso di ciò che sostengo con molto, molto piacere.»

Mahton osservò bene quel ragazzo dalla piccola statura. In verità la sua fisionomia gli ricordava più quella di una donna, ma non aveva alcuna importanza.

«Prova a fare qualcosa a mio figlio e ti giuro che avrai di che pentirtene!»

Da sotto la sua maschera, il giovane fece una smorfietta supponente, e finalmente parlò. La sua voce era androgina, tanto maschile quanto femminile.

«Quale importanza dovrebbero assumere le tue parole, per me? Onestamente, il pensiero di avere uno come te alle costole non mi fa rabbrividire nemmeno un po'. Tutt'altro» ammise con strafottenza «sarà divertente vanificare ogni attacco con la magia, e sperimentare su di voi le mie potenzialità.»

«La magia proibita causerà delle catastrofi» ribatté Mahton stringendo i pugni «e sarà più divertente per me che per voi cercare di capire su che cosa dominerete, quando per colpa vostra non vi sarà più nulla!»

«Che esagerato» disse il Jonin «quando questo accadrà, noi saremo già al fianco dell'Empio, pronti a dominare su ciò che egli stesso genererà. Ma non è tempo per parlarne… ora, se Kagebara vuole procedere…» l'uomo fece un cenno accomodante al suo ninja, ed egli sollevò la testa per aria. Rimanendo appena dietro a Irke, che ancora non si poteva muovere, sollevò una mano e si concentrò, creando nere spire tra le dita aperte come le zampe di un ragno. La mano prese a tremargli leggermente e il gioiello che portava al collo iniziò a pulsare sempre di più. Mahton deglutì un nodo in gola e con l'arma sfoderata assunse una posizione d'attacco.

«Lascia subito andare mio figlio e affrontami spada contro spada!» gridò; ma cercare di ragionare con loro era impossibile e capì che non poteva fare altro che agire. Scattò nell'impulso dell'affetto paterno, senza riflettere su come poter attaccare o difendersi dalla magia proibita e così, nel momento in cui le gambe si mossero agilmente, un ninja delle Ombre Arcane allungò una mano verso di lui e lo paralizzò. Mahton strinse i denti, provando con tutte le sue forze a respingere quella specie di morsa che lo teneva inchiodato sul posto, ma era inutile. Eppure non voleva arrendersi.

«Che scocciatura. Te lo ripeto, vecchio» sputò con maleducazione il piccolo ninja «le tue minacce non mi toccano. Questa magia serve ad inibire qualsiasi funzione motoria e alcune cerebrali. Perché scomodarsi a preparare veleni e faticare tanto per utilizzarli, quando esistono metodi più veloci e diretti che danno lo stesso risultato, se non addirittura migliore? Non si dice sempre che un ninja deve sfruttare qualsiasi modo, anche il più disonorevole per raggiungere il suo scopo?» attese un momento per dargli modo di ribattere, ma Mahton non smetteva di spingere contro quella forza invisibile «il Veleno dell'Arcobianco, pianta che cresce sulle montagne, se distillato e poi fatto bere alla vittima gli paralizza i polmoni… immagina però tutto il lavoro che occorre per arrivare al risultato. A me invece basta concentrarmi e attendere solo qualche istante per raggiungerlo. Quindi perché scomodarmi a combattere nullità come voi, quando posso risparmiare tempo con una magia?»

La mano di Kagebara si chiuse di colpo, e Irke congiunse entrambe le sue alla gola mentre l'incarnato assumeva rapidamente una tonalità bluastra. Dalla bocca spalancata emise sibili e rantoli soffocati, poi si contorse al suolo, preda di convulsioni incontrollate. Un sorriso maligno accese lo sguardo di Kagebara mentre, da sotto la sua maschera, osservava Mahton vittima di una collera incontrollata. L'Hutago ringhiò tutta la sua sofferenza, provando un dolore inaudito mentre veniva costretto a vedere il figlio nella morsa della magia proibita.

«Lascialo andare! Ti scongiuro!» gridò di nuovo. Kagebara lo guardava con occhi indemoniati, sembrava non udire le sue parole disperate. Continuò a concentrare le energie sull'incantesimo di morte e su quello che lo teneva bloccato, e i rantoli di Irke si fecero a mano a mano sempre più bassi. Aveva gli occhi gonfi, la sua pelle era blu; si contorse per qualche altro istante finché, dopo una lunga agonia, il suo corpo non si mosse più. Mahton, non appena sentì svanire l'incanto che lo aveva tenuto bloccato, riacquistò l'equilibrio e corse dal figlio senza che gliene importasse alcunché delle Ombre Arcane e del villaggio. Giunto accanto a lui accolse Irke tra le braccia, ma solo per scoprire la terribile verità: era morto. Il suo volto, ancora piegato tra le sofferenze della tortura, era già pallido e il suo cuore non batteva più. Mahton, tra le lacrime che iniziarono a sorgergli negli occhi, provò ad esercitare alcune manovre per tentare di rianimarlo, ma furono del tutto inefficaci. Irke continuava a giacere inerme, gli occhi socchiusi e vuoti. Non rispondeva, se ne stava molle e fermo, il viso rivolto al cielo e alla luna pallida che brillava. Pochi istanti prima era lì, in piedi di fronte a lui, alto, fiero e in perfetta salute. Nel giro di pochi minuti era morto, e la cosa gli sembrava così surreale da essere certo di stare sognando. Mahton aveva perso tante persone care durante la sua vita, ma mai un figlio. Quel dolore che iniziò a farsi strada nel suo cuore in modo tanto impietoso era nuovo e orribile, indescrivibile e stravolgente, e si chiese perché proprio a lui. Dai suoi occhi le lacrime non finivano di sgorgare, aveva il volto affondato nella sua spalla e lo teneva forte, stretto a sé: non era un incubo, era la realtà. Haruka si compiacque del lavoretto di Kagebara e sputò sul cadavere di Irke.

«Ha ricevuto ciò che meritava, e tra poco toccherà anche a voi. È anche colpa tua se è finito così, visto che mi hai costretto a darti una dimostrazione della mia ragione.»

L'Hutago lo guardò con due occhi di braci ardenti. L'irragionevolezza gli diceva perfettamente che cosa fare, ma questa volta non fece lo stesso errore: non aveva semplicemente possibilità. L'unica cosa su cui lui e i suoi ninja vincevano erano le tecniche di ninjutsu, non la magia. Raccolse sulle spalle il corpo di Irke e, con uno scatto fulmineo, iniziò a correre.

«Fuggite! Abbandonate il villaggio, tutti quanti!»

Haruka iniziò a ridere come se trovasse il tentativo dell'uomo decisamente patetico. Kagebara era già sul punto di fermarlo, quando d'improvviso qualcosa lo colpì ferendogli la schiena. Si voltò e vide un Chunin che, uscito dall'ambulatorio e cogliendolo di sorpresa, l'aveva attaccato alle spalle. Haruka lo stava tenendo bloccato con una mano nera che si era plasmata e allungata dal suo palmo.

«Ancora non hai raggiunto la completezza e devi guardarti meglio le spalle…» sibilò sotto voce mentre controllava i movimenti della mano nera, perforando il petto del ninja fino a tirargli fuori il cuore pulsante. Kagebara tossì sputando del sangue, rannicchiato al suolo con un'espressione di odio stampata sul volto. Nonostante fosse un ninja non era riuscito a percepire la presenza dell'avversario, e quella sua mancanza lo aveva umiliato. Haruka l'aiutò ad alzarsi, poi con i suoi ninja iniziò a disseminare distruzione e morte in tutto il villaggio. Parecchi Yuurei provarono a respingerli e a combattere, sacrificandosi per far scappare i compagni, e così molti erano riusciti a fuggire o a nascondersi. Mahton li aveva infine guidati al di fuori del bosco, ma, mentre risaliva il dedalo di camminamenti per controllare che tutti i ninja di vedetta fossero andati via, vide le Ombre Arcane ritirarsi. Successivamente intravide Haruka soffermarsi con Kagebara e un altro ninja che stranamente portava la stessa uniforme degli Yuurei. Decise di spiarlo nascondendosi tra le fronde e, quando il ninja misterioso si tolse il bavaglio dal volto, con sgomento vide che si trattava di una faccia familiare.

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Come si può notare, anche questa parte ha subito un cambiamento un po' più incisivo. Inizialmente, infatti, gli Yuurei rimasti a Edom scoprivano subito che Mellon li aveva traditi, facendo soltanto credere di essere morta grazie a un incantesimo. Alla fine però mi sono resa conto che sarebbe stato meglio mantenere il segreto della situazione un po' più a lungo, e da qui la decisione di riscrivere parzialmente la scena.

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OTTAVO CONFRONTO: CAPITOLO 51 - VOLUME III (La spada che risucchia la vita solo a chi pratica la magia nera)

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PRIMA VERSIONE

Era questo che poteva fare la spada a chiunque la toccasse? No... non era possibile; doveva esserci un altro motivo, altrimenti Daelyth l'avrebbe avvisata di un tale pericolo. Chiunque dei suoi compagni avrebbe potuto toccarla accidentalmente e finire così... ci doveva essere un motivo legato a Mellon. Non aveva idea di quanto tempo le rimanesse prima che la spada le togliesse anche la più piccola goccia di vita nel suo corpo, ma l'istinto le suggerì di afferrare la lama di Vitral e tagliare di netto la mano della ragazza.

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Dialogo del capitolo successivo in seguito a questo fatto:

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«Grazie. Ah, una cosa importante» aggiunse poi «dimenticavo di dirvi che Mellon ha toccato la spada e per poco non la uccideva. Non riuscivo a staccarle la mano dall'impugnatura, per questo ho dovuto amputarle il polso. Non so per quale motivo, ma credo sia perché usa la magia proibita... in ogni caso, finché Daelyth non ce lo confermerà, non voglio che tocchiate la spada. Intesi?»

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VERSIONE ATTUALE

Era questo che poteva fare la spada a chiunque la toccasse? Non aveva idea di quanto tempo le rimanesse prima che le togliesse anche la più piccola goccia di vita nel corpo, ma l'istinto le suggerì di afferrare la lama di Vitral e tagliare di netto la mano della ragazza

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Dialogo successivo:

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«Grazie. Ah, una cosa importante» aggiunse poi «dimenticavo di dirvi che Mellon ha toccato la spada e per poco non la uccideva. Non riuscivo a staccarle la mano dall'impugnatura, per questo ho dovuto amputarle il polso. Dev'essere stato per via del risucchio vitale… non voglio assolutamente che la tocchiate, qualsiasi cosa accada. Intesi?»

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Semplicemente, mi ero dimenticata del piccolo dettaglio che la spada prende l'energia vitale di qualsiasi persona che non sia Yura, quindi non c'entra un tubo se uno pratichi la magia proibita o meno.

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OTTAVO CONFRONTO: CAPITOLO 51 - VOLUME III (una Yura spietata)

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PRIMA VERSIONE

Mellon gemette trafitta improvvisamente dal dolore e si domandò se la ragazza non avesse il potere di infliggerglielo con il pensiero.
«Tornare indietro ci farebbe perdere troppo tempo e rischieremmo di non incrociarli. Non posso fare altro che procedere...» Yura l'afferrò per l'altro polso, la strattonò e la obbligò ad alzarsi «non me ne frega se morirai dissanguata o se sopravviverai. Non ho nessuna intenzione di mollarti qui da sola, con il rischio che tu possa fare altri danni. Verrai con me, volente o nolente.»
«Aah!» strillò Mellon, lasciando gocce di sangue sull'erba secca e ingrigita «che ti ho detto, stupida? Non hai intenzione di andarci da sola, per cui tranquilla, sapevo che mi avresti obbligata ad accompagn-»
Yura la fece cadere a terra con un banale sgambetto, poi si rivestì con calma, lasciando perdere la casacca ormai ridotta in straccio.
«Ti do venti secondi per recuperare la tua roba, dopodiché ti trascinerò a forza. Spicciati... hai già creato abbastanza problemi.»
«Fetida... ti consiglio di non approfittare troppo del fatto che sia gravemente ferita» ringhiò la ex Kunoichi, alzandosi e procedendo verso i suoi abiti con rabbia. Impiegò ben più del tempo ordinato da Yura e quando tornò aveva lo sguardo di una leonessa pronta ad avventarlesi contro. Yura le concesse qualche secondo per sbollire e riprendersi, poi sfoderò il coltello ed evocò la propria Alma con l'intenzione di rimanere pronta ad usare la magia se se ne fosse presentata la necessità.
«Puoi stare davanti a me» le suggerì, in realtà con ben poche possibilità di scegliere. Mellon allungò l'angolo della bocca in un altro sorrisetto storpio e sarcastico, poi s'incamminò tenendosi il polso. Stava sudando, aveva i brividi e si sentiva debole, con la vista che di tanto in tanto si appannava, ma era sicura che, se si fosse seduta, Yura l'avrebbe trascinata come aveva detto e forse lo avrebbe pure fatto per il polso ferito. Come se le avesse appena letto il pensiero la Genin pensò che, se Mellon avesse avuto dei seri problemi a stare in piedi, cosa che già vedeva da come barcollava, avrebbe cercato di aiutarla. Poteva sì sanare qualche ferita con la magia, ma non un'amputazione... forse però poteva riuscire ad alleviarle il dolore e rallentare l'emorragia.

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VERSIONE ATTUALE

Mellon gemette trafitta dal dolore e si domandò se Yura non avesse il potere di infliggerglielo con il pensiero.

«Tornare indietro ci farebbe perdere troppo tempo e rischieremmo di non incrociarli. Non posso fare altro che procedere…» la Genin le prese l'altro polso, spingendola ad alzarsi «non ho nessuna intenzione di mollarti qui da sola, con il rischio che tu possa fare altri danni. Verrai con me, a costo di doverti portare sulle spalle.»

«Mpf» ringhiò Mellon, lasciando gocce di sangue sull'erba secca e ingrigita «che ti ho detto, stupida? Non hai intenzione di andarci da sola, per cui tranquilla, sapevo che mi avresti obbligata ad accompagn-»

Yura le lasciò il polso, poi si rivestì con calma, lasciando perdere la casacca ormai ridotta in straccio.

«Ti do venti secondi per recuperare la tua roba, dopodiché ti porterò a forza. Spicciati… hai già creato abbastanza problemi.»

«Fetida… ti consiglio di non approfittare troppo del fatto che sia ferita» ringhiò la ex Kunoichi, alzandosi e procedendo claudicante e rabbiosa verso i propri abiti. Yura le concesse qualche secondo per sbollire e riprendersi, poi sfoderò il coltello ed evocò l'Alma con l'intenzione di rimanere pronta ad usare la magia, se se ne fosse presentata la necessità.

«Se non hai bisogno di aiuto, puoi stare davanti a me» le suggerì, in realtà con ben poche possibilità di scegliere. Mellon allungò l'angolo della bocca in un altro sorrisetto storpio e sarcastico, poi s'incamminò tenendosi il polso. Stava sudando, aveva i brividi e si sentiva debole, con la vista che di tanto in tanto si appannava, ma era sicura che, se si fosse seduta, Yura l'avrebbe trascinata e forse lo avrebbe pure fatto per il polso ferito. Come se le avesse appena letto il pensiero, la Genin pensò invece che doveva aiutarla. Poteva sì sanare qualche ferita con la magia, ma non un'amputazione… forse però poteva riuscire ad alleviarle il dolore e rallentare l'emorragia.

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Mi sono accorta che Yura agiva in maniera davvero troppo impietosa nei confronti di Mellon. Okay, non la sopporta granché, ma per come è lei mi sembrava inutilmente cattiva, considerato che le aveva pure dovuto amputare il braccio.

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ALTRI CONFRONTI

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Dal momento che non ho più tenuto traccia dei capitoli e che nel tempo ho ricorretto quelli vecchi, lascerò altri confronti senza un ordine preciso.

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CAPITOLO I - VOLUME I (una Yura antipatica)

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PRIMA VERSIONE

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