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L'apocalisse di infera

(anteprima)

Sha'Rak Infera

Capitolo 1 – L'inizio della rinascita

 

 

 

C'era una fitta e fastidiosa polvere color marrone che aleggiava nel cielo rosso di Espèrtha, danzando lenta e leggiadra nell'aria. Lo scenario era invisibile sotto a quella nebbia di terra, reso ancor più surreale da un profondo silenzio. Tuttavia non passarono che pochi secondi prima che la situazione si rendesse chiara: la polvere si diradò, scivolando nei pertugi delle rocce frantumate e lasciando intravedere il luogo desolato. Ci furono un rantolo ed un movimento sotto un cumulo di rocce, poi ancora il silenzio ed infine un secondo rantolo. Il Comandante Sofor'the giudicò che dovevano essere morti in sei o in sette mentre tentava di rialzarsi da terra. Si tolse di dosso le pietre che gli avevano appena provocato qualche botta sul pettorale di Zanyrte, uno dei materiali più pregiati di cui le miniere infernali erano ricche, poi si sollevò.

Guardò per qualche istante lontano, verso la frontiera Nord, dove alcune sagome alate osservavano con sguardo indagatore dall'alto del cielo, poi si ritirò lentamente dietro le rovine di un forte diroccato. Solo quando appoggiò la schiena contro il freddo muro di pietre bluastre ed impolverate si rese conto che aveva perso un'ala. L'altra c'era ancora, a parte un tendine rotto. Pensò che il fatto di non sentire stranamente alcun dolore non fosse una gran consolazione, in quel momento. Se voleva sopravvivere, doveva battere in ritirata attraversando la tempesta nemica con tutte le sue forze, ma dentro di lui il desiderio era tutt'altro.

«Mol'hyùn... sempre e solo Mol'hyùn ormai» bofonchiò sbirciando di lato, giusto per tenere d'occhio la posizione nemica. Stava per scattare ed uscire allo scoperto, quando una voce strozzata davanti a lui lo chiamò.

«Sof! Comandante Sof!!»

Gli occhi rossi del Comandante scattarono tra le rovine del forte che si disperdevano per il campo di battaglia, a chilometri di distanza. Cercarono qualche secondo, prima di fermarsi sulla più minuta figura di un guerriero, che uscì dal proprio nascondiglio per raggiungerlo in punta di piedi.

«Non andate, Comandante! Aspettatemi!»

Era un altro demone, non grosso quanto lui e nemmeno tanto abile, ma perlomeno era uno dei suoi, di quelli di cui si poteva fidare. Il Comandante tornò a controllare la posizione nemica, non appena l'altro si accostò alla parete accanto a lui.

«Credevo fossi morto, Eshàti. Come i tuoi compagni» pronunciò con freddezza. Il tono rude del Comandante non tradiva i tratti del suo bestiale volto, vagamente leonino e dall'incarnato di un colore rosato, dal cui capo si prolungavano un paio di corna rivolte all'indietro. Eshàti, che diversamente da lui era un Demone d'acqua dalla pelle blu e con una cresta di capelli lunghi color gialla sul capo, lo guardò con un velo di rassegnazione.

«E' solo questione di minuti, Comandante Sof. Io non posso farcela, ma voi sì. Dovete convincere il Re a rafforzare le unità.»

Sofor'the lo guardò con un ringhio.

«E come?! Sta sempre rinchiuso al sicuro laggiù, all'ultimo piano. Ci ha abbandonati!» lasciò correre qualche secondo di silenzio, poi scosse il capo «la verità è che faceva tutto lei. Lui fu soltanto capace di prendere il posto che le spettava, dopo la sua morte. Se fosse qui, non saremmo mai arrivati a questo punto.»

Eshàti annuì debolmente, fissando lo sguardo sui capelli neri e radi che scendevano sul collo del Comandante, sporchi del sangue di qualche Mol'hyùn. Gli rispose dubbioso.

«Non so ancora se crederci o meno. Nessuno ha mai ritrovato il suo Pentax'ma. E tanto meno quelli dei demoni del Clan.»

Alzò gli occhi al cielo, sgombro e rosso come il sangue, sentendo gli occhi del Comandante posarsi nuovamente su di sé. Questo assunse un'espressione molto più dubbiosa, ma era palesemente infastidito da qualcosa.

«Che cosa pensi? Che sia viva? Bah'» si soffermò a propria volta a guardare il cielo, schiudendo le labbra da cui i denti bestiali luccicavano minacciosi «la vidi cadere nella fornace dei divoratori d'anime. Nemmeno la sua anima può essere sopravvissuta. Quella volta... il cielo di Espèrtha aveva lo stesso colore e l'aria era riempita dall'odore di morte. Ma era l'odore del plasma degli Angeli, non del nostro. Così forte che persino il nostro debole olfatto era in grado di percepirlo chiaramente. Proprio come il fetore di oggi. Peccato solo che oggi sia quello dei Demoni.»

Eshàti indugiò nel silenzio, poi strinse il bastone elementale a doppia lama nella mano destra, sfoderandolo con un movimento deciso. Guardò infine il Comandante, pronunciando le sue ultime parole.

«Dovete tentare, Comandante Sof. Il Re non se ne sta rinchiuso tutto il tempo laggiù. Approfittate del momento in cui abbandona il piano sigillato e andate a controllare. Se non per me, fatelo per i compagni che vi hanno servito fedelmente fino ad oggi, per la razza e per il Regno.»

Sofor'the lo guardò senza muovere un muscolo. Fece attendere la sua risposta, che non fu altro che un ironico rimprovero.

«Lo sai che detesto quando mi chiamate Sof. Ora muoviamoci!»

Eshàti sorrise di eccitazione: sapeva che il Comandante ci avrebbe pensato. I due Demoni uscirono allo scoperto, sotto gli sguardi degli Angeli e dei Mol'hyùn. Il Comandante era più forte, ma meno agile di Eshàti: proprio per questo il Demone decise di fermarsi a metà della strada che lo separava dall'entrata dei condotti infernali, alzando il bastone armato al cielo. Richiamò il suo elemento d'acqua, guardando il Comandante farsi avanti e fermarsi poi d'impulso.

«Sbrigatevi, Comandante!! Potrò tenerli a bada solo per pochi secondi!»

Sofor'the piegò le labbra in un ringhio iroso, quando i nemici iniziarono a scendere brutalmente in picchiata dal cielo. Vide anche i cadaveri dei propri compagni riversi al suolo, alcuni tra i migliori Demoni di sempre, e sentì il proprio Pentax'ma ribollire di rabbia, rilasciando continue quantità del nero e denso sangue che come tutti quelli della sua razza lo componeva, il Kherosoma. Poi si volse e, nonostante le proprie condizioni, riuscì a raggiungere l'ingresso dei condotti grazie al diversivo di Eshàti, sparendo nello stesso momento in cui lo sentì emettere il suo ruggito di morte. Il passaggio che proibiva l'entrata a qualsiasi creatura della fazione della Luce si richiuse automaticamente formando una lugubre barriera di colori misti tra il rosso ed il nero, mentre uno dei tre Mol'hyùn presenti discese lentamente con le lame sguainate, che gli uscivano al posto delle mani. A vederlo sembrava un essere umano nel corpo, ma sulla schiena aveva un paio di ali tondeggianti simili a membrane sottili, con ossa e muscoli sporgenti, mentre la pelle era di un azzurro sfumato con linee bianche.

«Ci è sfuggito» pronunciò con voce apprensiva. Un Angelo in armatura bianca e dall'aspetto regale gli si fece vicino, guardando il cadavere del Demone appena ucciso.

«Non importa» gli disse «l'attacco è comunque stato vinto. I Demoni si stanno indebolendo giorno dopo giorno ed oggi hanno avuto pesanti perdite. Conoscevo molti dei guerrieri infernali che oggi sono periti... combatterono la Grande Onda Divina sotto la bandiera dello Shirael' Inferaehl, la Despota figlia del Re. Lasciamo che quel Demone lo informi che il suo Regno sta per cedere.»

Il Mol'hyùn annuì, volgendo lo sguardo sul cadavere di Eshàti. Un secondo Angelo si inginocchiò al suo fianco e lo vide catturare l'anima del Demone, tramite un medaglione incantato.

«E' sicuro che non potranno più tornare in vita, in questo modo?»

L'Angelo lo guardò rassicurante, con il suo benevolo sguardo. Gli appoggiò con premura una mano sulla spalla, dando un battito delle candide ali piumate.

«Sì» rispose con voce melodiosa «senza anima, non sono che involucri... il loro cuore, ovvero il Pentax'ma, distrugge il loro corpo per sempre se il legame con l'anima viene reciso, prima che questa raggiunga il piano dei Defunti.»

Il Mol'hyùn non distolse lo sguardo un solo istante. Dopo che l'Angelo ebbe finito di raccogliere l'anima demoniaca, guardò il corpo sparire lentamente sotto forma di polvere azzurra, rilasciando in cima una specie di cristallo romboidale dalle punte acuminate: il Pentax'ma, avvizzito e prosciugato di tutto il suo Kherosoma. E mentre i compagni si alzavano in volo, pronti ad abbandonare il terreno di Espèrtha, il Mol'Hyùn lo raccolse e lo strinse nella mano, frantumandolo in mille pezzi con estrema facilità.

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To be continued...

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